Terme di Acireale controsenso. La Regione sempre pronta a metterci i soldi, ma pende la spada di Damocle dei debiti milionari

Terme di Acireale controsenso. La Regione sempre pronta a metterci i soldi, ma pende la spada di Damocle dei debiti milionari

ACIREALE – Se la matematica non è un’opinione, la strada del risanamento delle società Terme di Acireale è tutta in salita sia per la proprietà, la Regione Siciliana, sia per i tre liquidatori che attualmente per conto della Regione la amministrano. L’ultimo bilancio ufficiale, approvato e regolarmente depositato presso gli organi camerali, è quello chiuso al 31.12.2017, come si evince dalla figura riportata in basso. In quel documento contabile, l’unico ufficiale ad oggi disponibile, i debiti, iscritti al valore di estinzione, ammontavano a 16.378.457 euro, in crescita rispetto all’anno precedente. Ad oggi, non sappiamo se quei debiti valgano qualcosa di più o si attestino ad un importo inferiore, anche perché il bilancio al 31.12.2018 non è stato ancora approvato. Infatti, l’ultima assemblea dei soci è quella del 6 agosto 2019, tenutasi in forma straordinaria dinanzi al Notaio Sebastiano Messina di Acireale per procedere alla nomina triennale dei tre liquidatori e alla determinazione dei loro compensi. Perché è in salita la strada del risanamento?

Di recente, come è noto, la giunta di governo della Regione aveva deliberato ad inizio settembre del 2019 il riacquisto di due immobili facenti parte del patrimonio della società Terme di Acireale SpA: l’ex albergo Excelsior Palace e il centro polifunzionale. Dopo un lungo tira e molla tra la giunta e la potentissima burocrazia regionale, a fine settembre era arrivata dinanzi al Notaio Francesco Grassi Bertazzi di Acireale la formalizzazione dell’offerta di acquisto per 9,1 milioni di euro, scongiurando con questo atto la imminente vendita all’asta dei due immobili in una procedura fallimentare. In realtà, i due immobili erano già andati prima all’asta per un importo superiore, ma per ben quattro volte quella procedura di tentata vendita, concordata col Tribunale, era andata deserta e al Notaio non era mai pervenuta alcuna offerta, nemmeno quella che inizialmente avrebbe dovuto fare la Regione per 13 milioni di euro, attestata da perizie e documenti ufficiali, e poi successivamente ridottasi del trenta per cento.

Adesso i nove milioni di euro, che saranno a breve accreditati alle Terme di Acireale SpA, dovrebbero servire per pagare i debiti, ultimare la procedura di liquidazione e poi passare alla fase successiva, cioè la privatizzazione. Ed è qui che entra in gioco la matematica. Tra i 9 e i 16 milioni c’è una bella distanza che potrebbe accorciarsi solo se ciascuno dei creditori, a cominciare da quelli privilegiati come il fondo internazionale Cerberus (titolare del credito a suo tempo vantato dalla banca Unicredit), rinunciasse ad una parte delle proprie spettanze vantate nei confronti delle Terme di Acireale SpA. I debiti complessivi per più di 16 milioni sono verso banche, fornitori, istituti di previdenza e inoltre ci sono i debiti tributari; si sono stratificati nel corso degli anni perché la società non è più attiva e dunque non ha più fonti di entrate. Giuridicamente però Terme di Acireale SpA è ancora in vita.

Tra i creditori, insinuatisi a suo tempo nella procedura esecutiva, ci sono un professionista, una società privata e Riscossione Sicilia, ma ci sono pure il Comune di Acireale con le sue partecipate Acienergia e Sogip. E’ una bella “gatta da pelare” per i liquidatori che da alcune settimane hanno iniziato ad avviare una interlocuzione con i creditori, a cominciare dal Comune di Acireale. Hanno incontrato il Sindaco Stefano Alì che, in un suo intervento sui social, ha espresso qualche giorno fa una certa preoccupazione per come la vicenda sta evolvendosi, fermo restando che dovrà decidere, insieme alla Città, se e come accettare una eventuale proposta di riduzione del credito avanzata dai liquidatori oppure individuare una modalità alternativa di compensazione del credito per l’intero importo. I liquidatori hanno incontrato pure la speciale commissione costituita in seno al Consiglio Comunale di Acireale.

La matematica non è un’opinione se i nove milioni non dovessero bastare per pagare debiti per più di sedici milioni. Ma nemmeno il diritto è una opinione, se è vero che la Regione Siciliana, quale proprietaria delle Terme di Acireale SpA attraverso il suo Dipartimento del Bilancio e del Tesoro, non ha ancora convocato l’assemblea per procedere alla approvazione del bilancio al 31 dicembre 2018, adempimento che per legge sarebbe dovuto avvenire entro il 2019. In realtà, essendo le Terme una società in corso di liquidazione, il rappresentante della proprietà è il Dirigente pro-tempore dell’Ufficio speciale per le liquidazioni istituito ad hoc nel 2014. Nel frattempo, la nomina dirigenziale è scaduta e la Regione ha appena avviato la procedura di selezione interna, il cui termine di scadenza è il 10 febbraio prossimo.  A titolo di cronaca, negli anni questo incarico dirigenziale è stato ricoperto dalla dottoressa Filippa Palagonia (come dirigente dell’ufficio per le partecipate), dalla dottoressa Grazia Terranova e in ultimo dalla dottoressa Rossana Signorino. A memoria, non risulta che alcuna di loro abbia mai messo piede ad Acireale, limitandosi a trattare la delicata questione solo dagli uffici palermitani di via Notarbartolo. Fossero venute in città, si sarebbero rese conto di persona dello stato in cui versava e versa tuttora l’intero patrimonio immobiliare delle Terme, a fortissimo rischio di depauperamento man mano che le lancette dell’orologio vanno avanti e non si assume alcuna iniziativa per arrestare questa emorragia.

Ad Acireale la faccenda delle Terme è sempre passata sotto tono nel corso degli anni. La città è distratta da altro ed ultimamente è cooptata dai social in quelle che il buon Totò avrebbe definito “bazzecole, quisquilie e pinzillacchere” e che invece qualcuno considera ossessivamente come importanti. Invero la faccenda delle Terme, di per sé complicata e intricata per natura, rischia di diventare esiziale per l’intera economia cittadina, se non si avvia una riflessione seria e soprattutto ragionata, lontana da inutili clamori, da facili entusiasmi, da deleteri disfattismi e soprattutto alla larga dalle reazioni di pancia. La faccenda è serissima e richiede la mobilitazione di tutte le forze politiche, a livello cittadino, regionale e nazionale. Non è una questione di orgoglio civico che ormai forse nessuno sente più dentro. E’ invece una questione economica e politica insieme. La città di Acireale rischia per sempre di essere etero-diretta dall’esterno, incapace di darsi una propria visione economica per il futuro, dato che ormai si litiga inutilmente su tutto. Non si tratta di attaccarsi nostalgicamente al passato, perché nel 2020 è impensabile che le Terme tornino ad essere quelle erano alla fine degli anni ottanta. Occorre ragionare per scenari. E se uno scenario possibile fosse, metti caso, quello in cui si preveda più forte la presenza di nuovi investitori, questi dovrebbero venire fuori allo scoperto, interloquendo con la città e proponendo i propri programmi di sviluppo per il territorio e per le proprie aziende; e non invece piombando dall’alto su una città in sofferenza, a conclusione di procedure e procedimenti, i cui esiti appaiono incertissimi.

I tre liquidatori, seppur a singhiozzo, vanno avanti ma i margini di un loro intervento diretto sono ridottissimi quando la proprietà (cioè la Regione Siciliana) è latitante, noncurante o titubante e non si preoccupa nemmeno di convocare l’assemblea per l’approvazione dell’ultimo bilancio, che pure è un documento ufficiale. Va preso atto che in città alcuni professionisti vicini all’assessore Gaetano Armao si stanno impegnando per seguire la faccenda dal punto di vista del governo; ma l’indirizzo politico del governo regionale sul termalismo da solo non basta più perché la burocrazia, che non è impersonale e ha nomi e cognomi, dimostra di essere più forte e si mette spesso di traverso. I dirigenti regionali avranno pure i loro buoni motivi, perché di soldi pubblici nel termalismo se ne sono sprecati veramente tanti nel corso degli anni e la Corte dei Conti inchioda la burocrazia alle proprie responsabilità se l’inutile dispendio di risorse pubbliche non accenna ad arrestarsi. E’ altrettanto vero però che è un controsenso stanziare somme pubbliche che potrebbero risultare insufficienti per chiudere tutta la procedura, nel frattempo andando incontro ad un ulteriore decremento del valore di immobili pubblici che equivale ad altro spreco. Anche di questo la Corte dei Conti dovrebbe occuparsi.

All’orizzonte c’è sempre il rischio del fallimento, se i liquidatori non riusciranno a chiudere presto le transazioni dei debiti con i creditori. C’è di mezzo pure il Comune di Acireale, direttamente e indirettamente attraverso le sue partecipate. Si tratta di un credito di svariati milioni di euro, al quale il Sindaco di una città non può rinunciare a cuor leggero, perché si tratterebbe di entrate in meno nel bilancio comunale. D’altro canto, se però non si dovesse arrivare ad alcun accordo coi creditori, in una procedura fallimentare, di per sé lunga e farraginosa, si pagherebbero i debiti con quello che c’è in cassa o si ricava dalla vendita dei beni liberamente disponibili, come terreni ed altri immobili. E dunque si arriverebbe allo stesso esito, ma in modo ancora più traumatico. La legge non ammette sconti e dunque il Comune di Acireale si trova adesso tra l’incudine e il martello, ma non può pagare prezzi più salati di quanti abbia già patito negli ultimi dieci anni con la presenza “fantasma” di Terme regionali localizzate nel proprio territorio ma governate in remoto dagli uffici di Palermo.

Dunque, bisognerà lavorare intelligentemente ad un accordo di tipo “win-win” in cui entrambe le parti risultino pienamente soddisfatte. Da un lato, la Regione che da tempo porta avanti la propria battaglia contro gli sprechi delle società partecipate, tra cui le Terme. Dall’altro lato, i creditori pubblici e tra questi il Comune di Acireale che forse dovranno accettare qualche sacrificio alle spettanze dovute, ma che non potranno certo assumersi ulteriori responsabilità di natura patrimoniale per venire incontro alle bizzarrie dei dirigenti regionali.

Non è un braccio di ferro, ma è come se lo fosse. Da un lato la Regione Siciliana nelle sue diverse e contraddittorie articolazioni interne. Dall’altro lato, tutti gli altri, i creditori con il Comune di Acireale in primis. In mezzo ai due litiganti, ci sono gli stabilimenti termali di Santa Venera e di Santa Caterina e tutto il resto del patrimonio immobiliare, a cominciare dagli alberghi. Sono chiusi e inattivi; il tempo passa inesorabile e l’incedere del depauperamento è inarrestabile.

Nessuno ha il coraggio di dire che è stato sbagliato tutto, fin dall’inizio, con quel “doppio cappio” mortale della liquidazione e della privatizzazione stabiliti dalla legge n.11 del 2010 che finì per ingessare e burocratizzare subito ogni cosa, rendendo un controsenso quello che invece il buon senso comune avrebbe già risolto. Se l’idea infatti era quella di arrivare in ogni caso alla gestione dei privati, perché non optare fin dall’inizio per regolamentare una forma di partenariato pubblico-privato, lasciando la proprietà in mano alla Regione, e scegliendo gli investitori privati che offrissero le migliori garanzie di valorizzazione del patrimonio immobiliare e pianificassero una gestione moderna ed efficiente degli stabilimenti termali, con ricadute positive per l’indotto e l’intero territorio?

Invece no, si sono buttati via inutilmente dieci anni.

 

 

 

 

 

 

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