ACIREALE – Il titolo non è un errore di stampa. Lo abbiamo scelto appositamente per evitare che quello giusto, ovvero c’è qualcosa che non quadra, potesse scatenare subito i leoni da tastiera pronti a far rimbalzare l’articolo a destra e a manca sul web, senza nemmeno leggerne i contenuti. Spiacenti per loro, l’articolo invece va letto con calma. Inoltre, titolare a tutta pagina che c’è qualcosa che non quadra avrebbe significato mortificare oltremodo il tenero entusiasmo di quanti, fra Acireale e Palermo nelle stanze principali e nelle anticamere della politica, gongolano da giorni per un risultato che, atteso e sperato da tempo, risultato non è affatto. Appunto perché in tutta la vicenda delle Terme di Acireale che vergognosamente si protrae da dieci anni, l’ottica del risultato non c’è mai stata. Assente. Ha prevalso sempre e solo l’ottica dell’adempimento, delle cose che si devono fare perché vanno fatte, a prescindere che siano utili o inconcludenti per un buon risultato finale. Cose fatte per volere e potere della burocrazia, cioè dei dirigenti che man mano si sono avvicendati alla guida di vari uffici nei Dipartimenti e non ultimo dell’ufficio speciale per le liquidazioni. Ufficio che è una costola importante di quello per le partecipate, ovvero il ramo dell’amministrazione regionale che si occupa delle società di cui la Regione, per il tramite dell’Assessorato all’Economia, è proprietaria o possiede importanti quote azionarie.
E’ la vittoria della burocrazia, dunque, non della politica. Una burocrazia che, per pararsi negli anni da responsabilità contabili personali dei dirigenti per via di possibili rischi di danno erariale, ha architettato, seguito passo dopo passo e portato a compimento una cosa orribile nel risultato, sebbene formalmente (e apparentemente) corretta perché giustificata da una legge approvata dall’ARS a fine 2016 che aveva previsto di stanziare 18,9 milioni di euro per riportare ad unità i patrimoni immobiliari delle Terme di Acireale e Sciacca prima di passare alla privatizzazione degli stabilimenti termali. In pratica la burocrazia, per via di una storia che si perde nella notte dei tempi, ha fatto ricomprare oggi alla Regione Siciliana beni che in altro modo ieri appartenevano già al patrimonio regionale ed erano asset fondamentali della società Terme di Acireale SpA, cioè una partecipata della Regione. Il genitore Regione insomma ha adottato un figlio (una parte del patrimonio termale) che era suo ma che aveva rinnegato tante volte fino a perderne la patria potestà (finito in mani Unicredit e poi venduto a stralcio ad un fondo internazionale). Ci ha messo dieci anni la burocrazia per compiere questo capolavoro che passerà agli annali della storia, indipendentemente dal fatto che andrà in porto celermente e con altri esiti rispetto alla liquidazione la annunciata fase della privatizzazione prevista dalla legge del 2010, ovvero la concessione ai privati della gestione degli stabilimenti termali e degli altri compendi immobiliari facenti parte delle Terme di Acireale SpA.
C’è qualquadra che non cosa in questa vicenda. La scorsa settimana la Regione ha annunciato di aver riportato ad unità tutto il patrimonio immobiliare delle Terme di Acireale, riacquistando per 9,2 milioni di euro l’ex albergo Excelsior Palace e il dirimpettaio centro polifunzionale. Brutta storia: dal 2011 chiuso l’uno ai tempi del presidente Raffaele Lombardo e con alcuni protagonisti di allora ancora adesso operativi nell’agone politico; l’altro, il centro polifunzionale, mai aperto e a pezzi a pezzi concesso gratuitamente ai privati. Con questa operazione finanziaria per 9,2 milioni di euro, formalizzata di fronte ad un notaio, di fatto la giunta regionale Musumeci ha scongiurato che i due immobili finissero all’asta a seguito di una procedura fallimentare che, per insolvenza della società Terme di Acireale SpA nei confronti dei creditori, era già iniziata da tempo. Fossero finiti al miglior offerente l’albergo e il centro polifunzionale, nelle mani di chissà quale compratore, affidare ai privati la gestione delle Terme sarebbe diventata poi più difficile, proprio perché meno appetibile. Adesso c’è uno spiraglio all’orizzonte. Ai tre liquidatori nominati dalla politica regionale spetterà l’arduo compito di far entrare 9,2 dentro 16,37 perché a tanto ammontano i milioni di euro di debiti della società in base all’ultimo bilancio 2017. Sì, avete letto bene. Al 2017. Perché, a dispetto di una burocrazia pretenziosa e legata alla virgola fino all’inverosimile, nessuno ha battuto ciglio sul fatto che il bilancio al 2018 che avrebbe dovuto essere approvato e depositato entro il 2019 ancora non compare tra i documenti pubblicati alla Camera di Commercio.
Dunque qualquadra non cosa. E non è la sola cosa. Per sbloccare quei 9,2 milioni la giunta regionale si è dovuta letteralmente piegare nei mesi scorsi ad un’altra richiesta arzigogolata della burocrazia. Giustificare, con un pezzo di carta, che quei soldi non sarebbero stati buttati al vento ma che sarebbero serviti per rilanciare tutto il termalismo siciliano, come se a far ripartire gli stabilimenti dovesse essere ancora una volta la “Regione imprenditrice” che di fatto non esiste più. E’ bastato un pezzo di carta, fatto passare per un piano industriale pluriennale, a sbloccare quella somma che altrimenti i liquidatori non avrebbero mai visto, rimanendo ad attendere un’offerta per l’acquisto durante le aste promosse dinanzi al Notaio Grassi Bertazzi.
Qualquadra non cosa, ma nessuno però mai l’ha detto. Troppo tecnica la faccenda per farla capire al grande pubblico. Come pure, per far scendere i 16,37 milioni di euro (forse addirittura 20 in base ad un ultimo bilancio di liquidazione) a 9,2 e pagare i debiti, i liquidatori hanno dovuto trattare con i creditori per far ridurre loro le spettanze. E così ad uno ad uno i principali creditori, la maggior parte dei quali sono soggetti pubblici, hanno dovuto ridimensionare le loro pretese o barattarle con qualcos’altro dato in contraccambio. A compensazione del credito vantato, ad esempio al Comune di Acireale toccherebbero 800.000 euro più una catapecchia nella frazione marinara di Pozzillo (l’ex stabilimento della società dell’acqua minerale) che ci vorranno altri soldi e altri piani ancora per rilanciare e pensare di inserirla in una programmazione urbanistica della zona che sia degna di questo nome.
Qualquadra non cosa. La burocrazia regionale si è messa in salvo e la patata bollente l’ha lasciata agli ignari ma fattivi liquidatori e ai creditori pubblici che non saranno mai più pienamente ristorati per le somme loro spettanti. Se si fossero opposti, loro i creditori pubblici della società Terme di Acireale SpA e dunque della Regione, i burocrati avrebbero avuto l’alibi. Lo vedete, avrebbero detto, che a far fallire le Terme sono gli stessi Acesi? E dunque, anche questo boccone amaro lo si è dovuto ingoiare. Un ricatto morale, insomma.
Qualquadra non cosa. Adesso è il momento di pensare alla seconda fase, alla privatizzazione. Ma anche questo è un cammino non semplice e da Sciacca, dove le Terme vivono analogo problema, ne sanno qualcosa. O qualquadra anche loro. La comunità di Acireale, già mortificata mille volte in passato da burocrati che non hanno mai messo un piede nella città delle cento campane ma che da Palermo hanno deciso ogni cosa anche contro il buonsenso, vorrà fare la propria parte nella stesura del bando. Ne ha pieno diritto, in una moderna logica di inclusività delle decisioni pubbliche. Saranno pure importanti le linee programmatiche che Acireale vorrà darsi rispetto alle sue vocazioni e identità economiche un po’ in crisi. Ma non è facile programmare in questo momento. Del resto, sia ben chiaro: il turismo, fosse anche quello termale e del benessere, non potrà ripartire più alla stessa maniera dopo il Covid-19. A loro però, ai burocrati, questo non interessa affatto. La prima fase del disimpegno della Regione dal termalismo l’hanno messa in pratica, ma l’hanno fatta passare abilmente per un ritorno di fiamma della politica sul termalismo. Ora sicuramente aspetteranno di tirare fuori qualche altro cavillo nella fase del possibile coinvolgimento dei privati. Del resto se l’adempimento viene prima del risultato, sono le carte che contano. Anche quelle che non servono a nulla.
Qualquadra non cosa.