Terremoto di Santo Stefano, l'emergenza non è solo abitativa. Imprese e attività produttive sono ormai al collasso

di Saro Faraci

FLERI – C’è un’emergenza economica conseguente al terremoto di Santo Stefano che pochi conoscono, molti immaginano, nessuno è in grado di stimare (ed è grave). Soltanto quelli che la vivono sulla propria pelle possono argomentarne. Dalle 3.19 di quella notte del 26 dicembre 2018, c’è praticamente un’economia al collasso. L’emergenza non è solo abitativa, con 1.270 edifici totalmente inagibili e 1.670 fortemente danneggiati, stando alle ultime rilevazioni della Protezione civile regionale sui nove colpiti dal sisma. Cifre alle mano, i danni sarebbero non inferiori a 100 milioni di euro, più quelli sulle strutture ed infrastrutture pubbliche di cui si farà carico la Regione Siciliana secondo quanto ha promesso il Presidente Nello Musumeci.

C’è un’altra emergenza ed è quella economica. Qui le cifre non sono facilmente ricavabili. Mancando un osservatorio sulle imprese incardinato all’interno della Protezione Civile, si procede “spannometricamente”. I danni sugli edifici adibiti alle attività produttive dovrebbero riguardare, ci dicono dalla Camera di Commercio, non più di una sessantina di imprese, cioè quelle che hanno subito danni alle strutture murarie e, pertanto, assimilabili alle unità abitative. Il territorio di riferimento ovviamente è quello dei nove comuni colpiti dal sisma, con Zafferana Etnea che da sola conta metà dei danni di tutti gli altri centri. In realtà, gli opifici, i negozi, le botteghe e così via sono anche contenitori di impianti, di attrezzature e di merci. I danni sono stati notevoli. Alcune aziende, di media dimensione, ne hanno registrato per diverse centinaia di migliaia di euro. Potranno accedere verosimilmente alle misure di sostegno previste dall’emanando decreto governativo sulla ricostruzione, ma passerà del tempo. Poi ci sono i danni derivanti da mancato guadagno. Ne hanno sofferto da subito sia le imprese che sono state costrette a chiudere per via dei danni strutturali causati dal sisma; qualcuna ha riaperto con grande coraggio anticipando i tempi della ricostruzione, ma il calo di fatturato c’è stato ugualmente. Ma ci sono anche i mancati guadagni di tutta una sfilza di altre imprese, quelle dell’indotto, quelle poste in prossimità dei grandi nodi viari che attualmente (vedi i casi di Fleri e di Pisano) sono interdetti al traffico, e poi quelle imprese che hanno subito un danno di immagine. Stimare l’entità di questi danni non è semplice. Chi potrà dimostrare il nesso di causalità diretta fra il sisma e i mancati guadagni, potrebbe ricevere un sostegno dallo Stato se, nel decreto in via di emanazione, sarà reiterato quanto già previsto nel decreto Ischia, cioè un contributo pari al minor calo di fatturato dimostrato rispetto alla media degli ultimi tre anni. Ma probabilmente questi soldi non basteranno. Il danno più grosso l’ha registrato il turismo che, nella zona etnea, è l’attività economica principale di molte piccole strutture ricettive. Il portale Expedia, ha riferito pubblicamente il sindaco della città metropolitana Salvo Pogliese, ha registrato un 40 per cento in meno fra disdette e mancate prenotazioni in tutta l’area etnea dal 26 dicembre fino a metà gennaio. Il calo continua anche ora e si attesta al meno 20 cento. Una vera e propria emorragia che ha colpito anche Catania.

Il rischio più grosso è che molte attività produttive non riaprano più i battenti e quelle che continueranno ad operare saranno costrette a tagliare i costi, cominciando purtroppo sempre dal costo del lavoro che per molte imprese è la voce più rilevante del conto economico. La politica regionale e nazionale a questi ragionamenti così complessi non è abituata; la Protezione Civile può attivare diversi protocolli a seconda dei rischi e delle emergenze, ma nessuno si è mai preoccupato di stimare i danni economici. Si procede per tentativi ed errori. Se l’emergenza abitativa, abbiamo detto prima, vale non meno di cento milioni di euro; quella economica discenderebbe dalla sommatoria di tutte le voci di danno emergente e di lucro cessante delle imprese. Non facile a stimarsi, ma sappiamo che c’è. Ed è di svariati milioni di euro.

Come ripartire?

Serve liquidità per ricominciare subito e servono misure ad hoc per sostenere sia l’occupazione che per rilanciare i territori. La liquidità si potrebbe sostenere creando un fondo di garanzia a sostegno degli ulteriori prestiti concessi dalle banche, in modo da immettere nuove risorse finanziarie e agevolare le imprese che volessero ripartire. Poi si dovrebbe intervenire sui tributi, immaginando una esenzione, non una sospensione di quelli nazionali, per un periodo limitato in modo che, sollevate da oneri e da contributi, le imprese possano recuperare ulteriori liquidità per investire e rilanciare le attività anche sul piano della competitività. Il mancato guadagno è una sorte di morte anticipata per le imprese, vallo a spiegare ai politici. Poi andrebbe sostenuta l’occupazione, per consentire agli imprenditori alla guida di attività produttive colpite dal sisma di ripartire senza scaricare i costi sul lavoro dei dipendenti. Andrebbe anche sostenuta la nuova imprenditorialità, ma questa è un’altra storia. Nessuno si è mai posto seriamente il problema del ricambio generazionale e c’è il rischio che molte attività iniziate dai padri non continuino più, perchè i giovani, complice anche il terremoto, andranno via da qualche altra parte.

Ma c’è una cosa che la politica, soprattutto quella regionale, può fare subito. Ed è quella di ravvivare questi territori a forte vocazione turistica, riportandovi la gente nei fine settimana, durante le feste, come è sempre stato. Ci vogliono azioni di marketing territoriale cioè quelle che, in sostanza, trasformano un territorio in un brand attrattivo per turisti, visitatori ed escursionisti. Prima che sia troppo tardi bisogna intervenire. Perchè centri come Zafferana Etnea sono principalmente a vocazione turistica e la loro economia si fonda su quel flusso di persone che, mentre visitano la bellezza dei luoghi etnei, comprano, spendono, mangiano, si divertono e spendono. Se si arresta questo flusso di ricchezza, dopo il terremoto questi centri si trasformeranno in paesi fantasma.

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