di Daniele Lo Porto
La crisi della politica e della rappresentatività dei partiti non è certamente solo italiana, né tanto meno peculiare della Sicilia, ma nella nostra regione si sono consumati i peggiori misfatti. Ribaltoni, tradimenti, piroette, dietro front, moralità di facciata e legalità di carta velina, alleanze anomale e contro natura: tutto è stato giustificato e nobilitato con la scusa del “laboratorio politico”. Gli uomini forti, o presunti tali, al comando hanno sopperito alla mancanza di appeal delle organizzazioni partitiche, allo sfilacciamento del rapporto con l’elettore, del legame con il territorio. La crisi economica, il blocco delle assunzioni, le regole rigide sulle partecipate hanno stretto sempre più la cerchia dei peones, protagonisti di quel clientelismo che ha riempito le urne, ingrossato i partiti e ingrassato qualche leader e la relativa corte. I social e le piattaforme hanno fatto il resto: l’immagine ha soppiantato la sostanza, le comunità virtuali hanno la meglio su quelle reali, le frasi-spot convincono più di una manovra economica o di un progetto per rilanciare l’occupazione. In questo nuovo equilibro dinamico e, quindi, imprevedibile c’è la possibilità – o il rischio, dipende dai punti di vista – di un fantapolitico ritorno al passato che si incarnerebbe nel volto di nuovo sorridente di Totò Cuffaro e nel luccicante scudo riverniciato di bianco e rosso della Democrazia Cristiana. L’ex presidente della Regione, smaltiti i postumi psicologici della condanna, ma permangono quella pratici dell’interdizione dai pubblici uffici, ha annunciato il ritorno attivo alla politica, affascinato o meglio attirato dal canto delle sirene del potere. Una melodia che, per certi versi, gli ha consentito di analizzare i fatti e misfatti a cui accennavamo sopra, relativi all’ultimo decennio abbondante. Alcune considerazioni sono sotto gli occhi di tutti e non è comunque necessario l’acume politico di Cuffaro. Il Pd ormai si è rassegnato ad essere partito stampella di qualcuno, dopo aver sradicato i valori e una certa coerenza che caratterizzava la sinistra radicale, ma non estrema. Prima l’abbraccio mortale con Raffaele Lombardo, dopo che il medico di Grammichele aveva licenziato il centrodestra grazie al quale era stato eletto, poi difensore a oltranza dell’indecente Rosario Crocetta, e ancora la scelta di un candidato per Palazzo d’Orleans che era destinato ad essere perdente, prima ancora dei propri demeriti. Il Movimento 5 Stelle, che ha cercato di sparigliare le carte, mostra già evidenti i segni di una insofferenza interiore che ha provocato una grande e netta spaccatura con il conseguente indebolimento della spinta innovatrice e, al contempo, ne ha ridotto il peso di soggetto monolitico. Il centrodestra, infine, soffre della mancata crescita della Lega, mentre Fratelli d’Italia ha bruciato a Catania, con il condannato Salvo Pogliese, quella che poteva essere una valida leadership in chiave futura. Nello Musumeci, caracollante governatore tra decisionismo e attendismo, capace di sacrificare prudenze istituzionali per le necessità del pragmatismo politico, è sottoposto ad un assedio di logoramento che gli impedisce di far decollare, come sempre è stato, il suo movimento che non va mai oltre la fase puberale e #diventeràbellissima potrebbe pure ridenominarsi #resteràcosì. Forza Italia sembra aver trovato nuova energia grazie all’incessante opera del suo commissario-stregone Gianfranco Miccichè, bravo nella campagna acquisti tra amministratori già eletti. Insomma, Totò Cuffaro, deve essersi convinto che le debolezze, contraddizioni, inimicizie e personalismi saranno per tutti un difficile ostacolo da superare in vista delle prossime scadenze elettorali, tra le quali ci sono proprio la presidenza della Regione e quella al Comune di Catania e di Palermo, dove il centrodestra rischia di arrivare con il fiato corto, nelle prime due e senza nomi forti per Palazzo delle Aquile. L’ormai ex Totò vasa vasa è convinto che i valori possano essere più aggregativi degli interessi e la passione più della capacità di gestione delle realtà virtuali. Il suo futuro è il ritorno al passato e alla Democrazia, un progetto tanto ambizioso da essere subito bollato come folle da chi ha raccolto, per certi versi, l’eredità dello Scudo crociato, come l’Udc che in Sicilia è gestito da Decio Terrana che con Cuffaro è stato più che tranchant: “Ho stima per Totò ma la politica è ormai un’altra cosa rispetto a lui, se partiamo con Totò Cuffaro è meglio che restiamo a casa. La storia non va mai indietro, va avanti con i giovani. Il centro non lo possono fare certamente Totò Cuffaro e Saverio Romano. E’ legittimo ma la politica non li regge e non accetterà queste cose”. Cuffaro, via Twitter, ha risposto con ironia a Terrana: “Stia sereno, so perfettamente che io sono il vecchio e Lui è il nuovo”. E all’ironia ha fatto seguire il lancio del dado: La Dc ormai è cosa fatta, anzi rifatta, e lui, senza potersi candidare, sarà il padre nobile, il maestro, o il burattinaio, della giovane e meno giovane generazione. Un commissario regionale che afferma di avere già registrato migliaia di adesioni virtuali, che presto dovranno tramutarsi in tessere di partito, in sedie e banchi occupati al corso di formazione politica, in candidati credibili per gli enti locali e Mamma Regione, mentre lui tornerà a tessere trame e, magari a togliersi qualche sassolino dalle scarpe, a cominciare proprio da chi ha occupato dopo di lui la poltrona più prestigiosa di Palazzo d’Orleans.