Katya Maugeri
L’articolo 27 della Costituzione – recentemente difesa in occasione del referendum del 4 dicembre – parla chiaro: “[…] Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato […]”, ed è da ieri che l’Italia è indignata dinanzi alla notizia della sentenza della prima sezione penale della Corte di cassazione che ha accolto l’istanza dei legali del capo dei capi di Cosa nostra, Totò Riina, ordinando al Tribunale di sorveglianza di Bologna di motivare meglio la negazione del differimento della pena – dunque l’uscita dal carcere – al boss ottantaseienne in carcere dal gennaio 1993. Da ieri si è detto proprio di tutto: “Non merita alcuna morte dignitosa, proprio come non l’hanno avuta le sue vittime”, “Che muoia in carcere” e tanto altro.
Ecco il pensiero, a riguardo, di Claudio Fava, vice presidente della Commissione nazionale antimafia e figlio del giornalista Pippo, ucciso dai killer dei clan catanesi, che un po’ controcorrente ma sicuramente in maniera accurata dichiara: “Nessuna benevolenza nei confronti di un tipo come Riina, ma nessun accanimento perché stiamo comunque parlando della morte di questa gente non della loro detenzione”.
È diretto, chiaro come lo è sempre Claudio Fava, lui è ben distante da tutto questo caos mediatico che affolla il web da ieri, ” è giusto che ci sia l’attenzione nei confronti della dignità della persona – continua – mi sembra ci sia, invece, una certa distrazione istituzionale nel momento in cui altri personaggi che vivono in piena salute vengono trasferiti dal 41 bis al circuito carcerario normale, potendo così continuare a fare il bello e il cattivo tempo. Parlo ad esempio di Ercolano che a Catania è ancora considerato un punto di riferimento di Cosa nostra, fuori dal regime del 41 bis da due anni”. “Se Totò Riina torna a casa in condizioni che gli permettono di continuare ad essere “se stesso” è un conto – continua Fava – ma se un detenuto torna a casa perché in punta di morte non credo ci sia una delegittimazione della certezza delle pene, qui stiamo parlando al diritto ad una morte dignitosa, ed è la parola “morte” che fa da spartiacque e non una pena alternativa perché infermo o è trascorso già abbastanza tempo. Se un detenuto è in gravi condizioni – è chiaro che venga curato in carcere, peraltro il regime del 41 bis è abbastanza efficiente, ma se un detenuto sta per morire – non stai solo male, ma per morire – è giusto che torni a casa. Non dobbiamo far diventare martiri dei carnefici”.
Si Claudio cosi assisteremo ad un altro lancio di pedali di rose , ad un inchino dei santi davanti alla sua dimora e al ritorno prepotente dell’egemonia dei clan che si sentiranno tenuti in considerazione se non protetti dalla magistratura . La solita VERGOGNA del BONISMO nostrano .Mi dispiace . Io credo in DIO in Gesu` Cristo e nell’aldila`per la trasmigrazione delle anime . Ma non sono d’accordo tutto questo tran tran su una persona malvagia e che mai si e` pentita dei suoi misfatti .Che lo perdoni Dio quando arrivera` al suo cospetto .