Tra metafisica ed impegno civile. Il teatro di Antonella Caldarella: "Alle armi"


 
 
Giuseppe Condorelli

CATANIA. Burattini e guitti. Spiritelli bizzarri e bambole crudeli, con tanto di Regina capricciosa.  “Alle armi” di Antonella Caldarella, prodotto dal Teatro Argentum Potabile, in scena da Roots – lo spazio performativo di Steve Cable che celebra con i quattro titoli del cartellone “Underground rivers” i vent’anni di eccentrica attività teatrale in città – deraglia da una normale e codificata messa in scena già nell’incipit, con il lento assorbimento degli spettatori separati per genere e fisicamente risucchiati nell’atmosfera ambigua della scena e dello stesso spettacolo: incantamento fantasy o sconfinamento nel manga style? Chi è davvero al suo posto? Chi è davvero chi?
E Tutto – la Vita, l’Universo, l’Anima – si gioca dunque (non solo) sull’opposizione spaziale di maschi e femmine ma di soldati e bambole, di servi e padroni, forme reificate della modernità: i primi destinati ad obbedire alle leggi della guerra e dell’annientamento, prostrati ad una autorità tanto assoluta quanto irresponsabile; le altre asservite ad una condizione di perenne subordinazione. Quasi a sottolineare il non-sense della loro condizione oltre agli oggetti – armi, fruste , segni e “cose” della violenza – anche i movimenti scenici, le stesse battute rad-doppiate dai quattro giovani e promettenti protagonisti (Noemi Arena, Andrea Cable, Giulia Cannavò e Monica Santonocito) insieme alle musiche espressioniste di Einstürzende Neubaute, all’anarco-punk dei The Ex, alle contaminazioni sonore del trio Sutari, alle filastrocche, agli indovinelli, ai giochi di parole, in un loop straniante e corrosivo.

Lo spettacolo dunque è una grande metafora tra chi “assiste” e chi insegue il cambiamento e lotta comunque. E nessuno può sottrarsi, nessuno può rimanere a guardare: anche gli spettatori, alcuni dei quali sono chiamati letteralmente in scena – “Alle armi” appunto – dall’ennesimo conflitto: c’è sempre qualcuno da arrestare, da uccidere o da salvare ed è necessario assumere un “ruolo”: da qualsivoglia parte della barricata. In questo continuo rispecchiamento in cui è possibile leggere l’opposizione giovinezza-illusione, maturità-disincanto, “Alle armi” si fa sarabanda, caotica giostra in cui, in un rispecchiamento continuo, siamo proprio noi ad essere rappresentati poiché solo quando indossi una maschera “sei libero di essere te stesso”.
E a teatro non si gioca il gioco della vita: lo si svergogna.

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