Tutte le cose che ho perso. Storie di donne detenute

Tutte le cose che ho perso. Storie di donne detenute

di Anna Agata Mazzeo

Dopo  “Liberaci dai nostri mali” dedicato allo stato delle carceri italiane, Katya Maugeri, direttrice della nostra testata giornalistica online, torna in libreria con “Tutte le cose che ho perso. Storie di donne detenute”, edito da Villaggio Maori edizioni.

Un volume interamente dedicato alla lettura di genere del fenomeno carcerario. Con professionalità Katya Maugeri ha saputo accordare le testimonianze di donne sottoposte al regime di detenzione, senza cadere in alcuna forma di giudizio né bieco voyerismo, un lavoro d’inchiesta giornalistica che invita ad agire.

Celle numerate sostituiscono la convenzionale struttura dei capitoli, al loro interno sono custoditi i racconti, in prima persona, delle storie autobiografiche delle detenute. Il lettore ha la percezione di sollevare un velo, per guardare da fuori vite di donne “sbagliate”, con il necessario pudore e rispetto per la loro privacy. Senza violentare col giudizio comune, e senza dire oltre. Spesso, siamo giudici spietati. E le donne lo sono molto più di altri, soprattutto, verso sé stesse.

Misteriosi universi su cui apporre la scritta fragile, non perché più deboli, ma per l’enorme carico di responsabilità, che le donne hanno, nel portare avanti la vita, costruire famiglie come mondi, accudire altre vite, spesso, anche a discapito della propria. 

“Tutte le cose che ho perso”, non è soltanto una denuncia sociale sulle condizioni delle detenute e sulla disparità di genere. C’è un dentro e un fuori, che attiene alla sfera femminile e non soltanto alla privazione della libertà dentro le mura, ma alla libertà, che viene, ancora troppo spesso, intesa con accezione negativa, come emancipazione della specie.

La scrittura attenta di Katya Maugeri, si traduce con il perfetto equilibrio nel coniugare dati statistici e articoli di Codice penale, mentre guida il lettore attraverso il girone infernale di chi si trova a scontare una pena. 

La lettura porta a sentirsi complici di reato, un reato differente da quello per cui sono state condannate le donne che si raccontano. Colpevoli tutti, quanto lo Stato. Colpevoli di omissione di soccorso, di un sistema , che si collassa, questa la percezione. Troppo facile voltare lo sguardo e non guardare alle brutture del mondo.

Leggendo, infatti, ci si vergogna dei giudizi facili e sentenze prive di empatia, che abbiamo normalizzato con l’uso dei social. Dovremmo considerare, che in ogni cella, in ognuna di queste donne detenute, potrebbe esserci una di noi, consci del fatto, che in un mondo migliore non esisterebbe neanche la detenzione. 

In conclusione, Katya Maugeri accende i riflettori su un problema connesso alla detenzione delle donne: i figli detenuti con le madri. Bambini che iniziano la vita scontando la pena di essere nati da donne che hanno sbagliato. Un bambino privo di un nucleo familiare accogliente sarà, quasi inevitabilmente, un adulto con disagi.

Infine, un capitolo di proposte da attuare per un carcere, che sia veramente rieducativo. Questo libro, che si fregia della prefazione del magistrato Francesco Maisto, Garante dei detenuti di Milano, della postfazione della sociologa Eleonora de Nardis e del prezioso contributo di Sandro Libianchi presidente del Coordinamento nazionale Operatori per la Salute nelle Carceri Italiane (Co.N.O.S.C.I.) Centro Studi Penitenziari, con profonda riflessione vuole spronare, chi di dovere, a lavorare per concretizzare ‘quel mondo migliore’ di cui spesso si parla, ma che raramente trova applicazione. 

“Tutte le cose che ho perso”, lavoro di indagine, che prende in esame la detenzione femminile in un mondo maschio-centrico, con tutti i problemi di discriminazione ed emarginazione che ne derivano, diviene così, un vero e proprio saggio per una società, che si voglia dire civile.

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