Un ballo sotto la pioggia per le PMI: tra incertezze ed opportunità

Un ballo sotto la pioggia per le PMI:  tra incertezze ed opportunità

di Paola La Porta e Aurora Amas, studentesse del corso Principi di Management dell’Università degli Studi di Catania

In una situazione anomala e così difficile da gestire come quella che stiamo vivendo oggi, più di uno sguardo dovrebbe essere rivolto all’ondata di crisi che sta investendo le piccole e medie imprese d’Italia, le cosiddette PMI. Una crisi che si sta svolgendo sotto gli occhi di tutti, e che fa parte di un’emergenza ancor più grande, quella legata alla sanità, che ormai interessa buona parte del globo.

Innanzitutto, é bene specificare ciò che s’intende quando si parla di PMI: si tratta di imprese  caratterizzate dalla presenza di un numero massimo di 250 occupati, aventi un fatturato che non supera i 50 milioni di euro ed un attivo patrimoniale non superiore a 43 milioni di euro.

L’importanza di salvare le PMI è legata al volume d’affari che producono ed all’impiego che offre, pari a circa l’80% dei lavoratori italiani.

Tali imprese sono particolarmente a rischio a causa del lockdown, che ha provocato la paralisi forzata della loro attività: secondo i dati di Milano Finanza, sono a rischio il 65% delle PMI italiane, in particolare quelle che hanno un rating tra B e BBB (ovvero un rischio aziendale elevato), cioè aventi debiti soggetti a rischio futuro e/o si caratterizzano per  un debito ad alto rischio speculativo. Nello stesso articolo viene specificato che gli stress test condotti dall’agenzia di rating Modefinance hanno evidenziato che, nel caso di una perdita di fatturato del 10%, solo le imprese con rating A riuscirebbero ad affrontare questo scenario negativo.

Purtroppo riteniamo che la percentuale del 65% sia destinata a salire in Sicilia a causa dell’atavica sottocapitalizzazione delle nostre PMI, oltre che per le difficoltà di accesso al credito con le banche, attesa la diffidenza delle stesse nei confronti degli imprenditori meridionali e vista la mancanza di un rapporto diretto con i vertici degli istituti di credito, ormai in mano a gruppi non siciliani.

Di cosa avrebbero bisogno, quindi, le PMI, per ripartire? La domanda riecheggia come un mantra.

Una risposta ci viene fornita da un articolo de “Il Sole 24 Ore”, che sostiene che tali imprese, per ripartire, debbano superare due criticità nate con il coronavirus: la perdita di fatturato e l’uscita dalle filiere di fornitura. Per fare ciò, è necessario disporre di nuovi capitali per rilanciare gli investimenti, pertanto bisogna ricorrere al mercato del credito o, qualora se ne disponga, a capitali propri per soddisfare le urgenti necessità di cassa e di credito. Ovviamente diventa fondamentale l’intervento dello Stato, sia per l’accesso al credito a tassi quasi azzerati e con garanzie pubbliche, sia per provvedere all’abbattimento di oneri fiscali e previdenziali.

La ripartenza delle piccole e medie imprese italiane viene comunque incentivata dallo Stato attraverso le misure di supporto descritte dal “Decreto Liquidità”, che punta a rafforzare il fondo di garanzia per le PMI, concedendo copertura del 100% per i prestiti di importo non superiore al 25% dei ricavi fino ad un massimo di 25 mila euro.

Servendosi della mano che lo Stato potrebbe tendere alle PMI, possono essere colte delle occasioni che, paradossalmente, la pandemia sta creando; tali opportunità passano attraverso la trasformazione digitale delle imprese (smart working e possibilità di raggiungere nuovi mercati) e, quindi, l’adattamento della produzione alle nuove necessità del mercato, attraverso la produzione di mascherine, prodotti e/o servizi per l’igiene e/o per la sanificazione degli ambienti.

Se da una parte le PMI versano in una condizione di incertezza, dall’altra possono approfittare della situazione inconsueta per ampliare i propri orizzonti e guardare le circostanze da una prospettiva diversa, che consenta loro di cogliere il positivo nel negativo: non possono far altro che ballare sotto la pioggia.

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