Un figlio dopo il tumore

Un figlio dopo il tumore

Luigia Carapezza
Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale, Esperto in Psico – Oncologia

Ho letteralmente inseguito e fermato in tempo Valentina Immediata, poco prima che il trasfer dal Plaza Hotel di Catania la riportasse all’aeroporto, destinazione Milano. Succedeva sabato 29 giugno durante l’ultima giornata del 21°Congresso Nazionale del Gruppo Oncologico dell’Italia Meridionale (GOIM) organizzato dal presidente Evaristo Maiello (San Giovanni Rotondo – FG) in sinergia coi presidenti dell’evento: Roberto Bordonaro, segretario nazionale AIOM e direttore dell’U.O.C. di oncologia medica dell’ARNAS Garibaldi di Catania e  Michele Caruso, responsabile dell’U.O. di Oncologia del Centro catanese Humanitas.

La dottoressa Immediata, fellow di medicina della riproduzione al Fertility center dell’Humanitas di Milano ha accolto l’invito di partecipare alla giornata intitolata pianeta donna, e nell’ambito della sessione dedicata alla diagnosi precoce dei tumori della mammella ha parlato di prevenzione della fertilità.

Torniamo al momento in cui ho intrattenuto la dottoressa Immediata nella hall dell’hotel chiedendole di condividere ancora una volta la sua esperienza e l’ha fatto con lo stesso entusiasmo che poco prima aveva contagiato tutti gli ospiti dell’evento. 

Dottoressa, vuole dirci cosa è bene che le donne sappiano prima di sottoporsi ai trattamenti chemioterapici?

«Tenendo conto del fatto che è aumentata molto l’incidenza del carcinoma della mammella diagnosticato prima dei quarant’anni e che attualmente tendiamo sempre di più a procrastinare la ricerca della gravidanza, è sempre più frequente che la diagnosi del tumore mammario avvenga nelle pazienti che non hanno ancora avuto dei figli e che non hanno ancora realizzato il proprio progetto familiare. A queste pazienti è importante proporre un counseling sulla successiva gravidanza. Molto spesso si tratta di donne che hanno una diagnosi agli stadi precoci di malattia che per intenderci significa che li attende tutta una vita dopo la diagnosi e il trattamento del tumore in cui la qualità è importante. E all’interno della qualità della vita rientrano chiaramente la sessualità, la vita di coppia e la creazione della famiglia. Di conseguenza è un aspetto di cui dobbiamo tener conto prima di avviare trattamenti antitumorali che come nel caso della prima linea del tumore della mammella, hanno un effetto gonadotossico cioè uccidono gli ovociti, le cellule che servono per la riproduzione. La buona notizia è che noi possiamo utilizzare delle tecniche precedentemente all’inizio della chemioterapia di preservazione della fertilità, cioè garantiamo la presenza di ovociti o di tessuto ovarico che congeliamo e che la paziente potrà utilizzare negli anni successivi per cercare una gravidanza nel caso in cui non ci riuscisse spontaneamente».

foto Alessandro Gruttadauria

E concordo con Valentina Immediata anche quando condivide uno dei pensieri più ricorrenti nelle donne, ovvero la paura di sopravvivere a una malattia che in seguito alla chemioterapia possa compromettere i progetti futuri. 

«Avere il proprio tessuto ovocitario, le proprie cellule uovo per poter avere una gravidanza autologa è importante per le pazienti anche per poter affrontare meglio la chemioterapia. Il senso è che la donna sappia che potrà realizzare gli stessi progetti che avrebbe compiuto se non avesse avuto il tumore: una famiglia, una vita sessuale, una gravidanza».

Dottoressa Immediata, potrebbe dirci qualcosa in più circa l’organizzazione del vostro lavoro?

«Da circa due anni presso il nostro Cancer Center è nato il progetto AYA, acronimo di Adolescents and Yang Adults. Si tratta di un percorso clinico e psicosociale (composto da un team multidisciplinare di oncologi, ginecologi, psicologi, fisioterapisti, etc.) dedicato agli adolescenti e ai giovani adulti con il tumore a cui fanno riferimento tutti i pazienti oncologici indipendentemente dal tipo di tumore sotto ai quarant’anni. A tutti questi pazienti sia uomini che donne viene offerto dagli oncologi del team che li segue  – specifico rispetto agli oncologi generali che seguono gli over ‘40 e i pazienti anziani – il counseling per la preservazione della fertilità perché gli uomini possano crioconservare il liquido seminale e le donne possano avvalersi delle varie tecniche per la conservazione del tessuto degli ovociti. In linea generale tutte le donne under 40 (se non hanno avuto figli anche under 45) indipendentemente dallo stadio della malattia e dall’aver avuto già gravidanze vengono indirizzati a un counseling col ginecologo che fornisce le informazioni sui possibili danni da chemioterapia o anche rispetto a delle terapie che non sono dannose in senso stretto sull’ovaio ma che impiegano molto tempo per cui diventa necessario interrogarsi anche sul tempo adatto a cercare la gravidanza». 

Un’altra preoccupazione dei pazienti è che sottoporsi alle procedure di preservazione della fertilità possa sottrarre tempo prezioso all’avvio delle terapie antitumorali. 

«In verità le nostre conoscenze scientifiche ci permettono di partire con la stimolazione in qualunque momento del ciclo, quindi se l’oncologo o il senologo indirizzano subito la paziente alla preservazione – atteso che  la stimolazione duri 9 – 12 giorni – il tempo non si perde perché coincide con il percorso di stadiazione della malattia, di decisione multidisciplinare di quale sarà la terapia della paziente. Durante questo percorso si può procedere con la stimolazione per fare la preservazione degli ovociti, mentre se si decide per la preservazione del tessuto ovarico può essere fatto da un giorno all’atro quindi non si perde assolutamente tempo in entrambi i casi».

E per concludere mi piacerebbe sapere cosa significa per lei lavorare in questo ambito. Qual è l’impatto emotivo?

«Spesso le pazienti si trovano in un momento in cui hanno appena avuto la diagnosi e non sanno ancora che cosa faranno. Sono molto confuse hanno paura e si trovano catapultate in una situazione in cui magari vedono in ambulatorio o in sala d’attesa decine di coppie, di donne che invece stanno cercando una gravidanza, che stanno cercando di realizzare il proprio progetto di vita e quindi questo le mette in una situazione in cui si chiedono che  cosa succederà a loro, e se riusciranno anche loro ad arrivare a quel momento e quindi capita spesso di condividere momenti emozionanti con queste pazienti. In realtà voglio raccontare uno degli eventi più emozionanti, quando ho visto il dosaggio delle Beta – HCG positivo della paziente che aveva fatto lo scongelamento e il transfer degli embrioni e che ha ottenuto la gravidanza. L’ho chiamata al telefono ed entrambe abbiamo pianto perché aveva la positività delle beta HCG. Era in gravidanza. Stava realizzando questo sogno e poi ha partorito tre settimane fa. Ha una bambina in braccio. Adesso».

foto Alessandro Gruttadauria

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