Un tributo sugli innocenti


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
| Salvo Reitano |

Sarà colpa di certe sentenze dei nostri tribunali e il modo come sono pronunciate. Colpevoli assolti e innocenti condannati. Sarà colpa del collega e amico Paolo Licciardello, giornalista e scrittore dalla penna raffinata, che da qualche tempo si è messo a postare sul suo profilo Facebook brani dei “I promessi sposi” e non so perché mi ha costretto a frugare tra i mie libri per trovare e rileggere “Storia della Colonna infame”, l’opera del Manzoni conosciuta da un italiano su cento mediamente colti e da non molti «intellettuali». Un saggio storico che più di ogni altro racconta di innocenti perseguitati da una giustizia ingiusta. Forse per tutte queste ragioni e altre, che non basterebbero cento pagine per elencarle, da qualche giorno non faccio che pensare a un’accusa di quelle senza appello: sei innocente? Anzi, sei troppo innocente?  Devi pagare.
Perché questa innocenza, in questa Italia parolaia, in questo mondo dove si alzano muri invece di costruire ponti, suona come peccato mortale, ulcera da eliminare, contagio da scongiurare. Non hai mai rubato o, peggio, ammazzato qualcuno? Non hai mai spacciato veleni mortali come certe droghe o, peggio, sei stato colluso con una delle tante mafie che inquinano il nostro vivere quotidiano? Allora sei nei guai. Intanto ti perseguitiamo in tutti i modi e giacché ci siamo ti togliamo pure la dignità. Se sopravvivi si vedrà. Per fortuna o per disgrazia gli innocenti sono ancora molti, altrimenti qualche solerte “statista” o qualche giudice intraprendente, in vena di restaurazione, tenterebbero di ristabilire la pena di morte per eliminarli.
Nessuno, infatti, risulta più deleterio di chi gode della la sua particolare innocenza. Lavoratori licenziati, pensionati all’abbandono, malati dimenticati in corsia, gente che indirizza le sue pudiche lettere alle rubriche dei giornali, ai talk show televisivi o le affida alle pagine dei social, qualche giovane ben educato e sensibile  che aiuta una vecchietta ad attraversare la strada, qualche amico (non a chiacchiere) degli animali, morigerate canute signore che non fingono di stupirsi davanti alla vergogna di questi tempi macilenti, ma cascano davvero dalle nuvole nel vedere quanto scempio fisico e morale c’è in giro. Ecco gli innocenti accusati, i colpevoli di un’epoca che non ammette il bel gesto, isolato e benevolo, che non si intruppa di punto in bianco solo per godere di una «ragione sociale» collettiva.
E va da se che gli innocenti sono anche dei signori solitari che non amano nuotare tra i ghirigori del collettivismo ideologico. Non indossano la maschera di nuove o vecchie ideologie, non si lasciamo sopraffare da slogan più o meno beceri. Soprattutto evitano di apostrofare il prossimo con la fatidica frase #staisereno, tanto tutto si aggiusta. E non mandano il solito #ciaone ad alcuno. Qualche volta, debbo confessarlo, mi sono sentito anch’io un innocente: per aver subito un torto per il quale ho chiesto, senza ottenerla, “giustizia”; per un certo lavoro ben fatto e subito bollato in quanto tale; per quella condotta priva di furbizie; per quel rimanere davvero sereno che è l’atteggiamento che esprime un’animo quando ha la consapevolezza di essere candido.
Cosa dire degli elzeviri domenicali che di volta in volta mi attirano nuove accuse di innocenza da parte di affezionati lettori. Sono un recidivo cronico, insomma, e meriterei l’esilio e l’emarginazione totale in attesa della condanna definitiva, magari pronunciata da un giudice così attento ai codici e così lontano dalla vita.
Forse, a questo punto, la storia del mondo è matura per un tributo sugli innocenti. Per certi rossori e stupori che il nostro vivere quotidiano non tollera, perché sarebbe troppo comodo affrontare con la coscienza pulita e con cuore impavido il mondo. So bene che l’innocente deve attendersi trappole ad ogni crocevia, entrate a gamba tesa, scherno e dileggio e pure una ben assestata bastonata in testa al buio del primo vicolo cieco. Purtroppo l’innocente non conosce la medicina per guarire dalla sua malattia. Così come ignora i metodi per sottrarre le leve del potere a chi innocente non è e quindi le possiede e le usa contro chi, invece, innocente lo è davvero. Ma l’importante, secondo le regole mai scritte dell’innocenza, è resistere, non mollare, aspettare la piega esistenziale dove il dolore è forte e insopportabile.
Mi piace pensare che l’uomo che doveva nascere volle porre alcune questioni al Creatore prima di farsi scaraventare sulla Terra. Gli domandò: “Ma perché vuoi cacciarmi da questi luoghi sereni, silenziosi, stracolmi d’acqua pura, di frutti appetitosi e mandarmi in quelle zone dove regna sovrano il delitto e la miseria, dove la stessa competizione vitale è un crimine, dove è rispettato solo chi prevarica, ferisce, uccide e vince?”.
Mi sembra si sentire la voce del Grande Reggitore: “Questo è il destino che ho deciso per te, piccolo essere pensante, lasciare questo Paradiso e avere rimpianti. Anche se perderai la memoria di questi luoghi dove sei cresciuto in pace e serenità, sarà la nostalgia a farti uomo”.
Pianse a dirotto la creatura d’argilla costretta a nascere. E obbiettò: “Sarai pure un Dio, ma sei più crudele dei miei futuri simili, delle loro leggi terrene e di quei giudici che a modo loro dovrebbero farle rispettare. Mi condanni a una vita che non ho scelto e non volevo. Dal Palco celeste disprezzerai gli uomini in carne ed ossa per i loro errori, ma, credi a me, non sei migliore di quelli che, sulla Terra, verranno dopo di me”.
Rispose il Grande Reggitore: “Forse hai ragione. Ma lo scopo consiste in un eterno provare. Ogni uomo catapultato sulla Terra è strumento della storia. Da colpevole o da innocente tocca a te, ora, muoverti in questa storia non per il mio diletto ma per vedere fin dove e come abbiamo sbagliato entrambi. E se un giorno ti faranno pagare un tributo per non aver commesso alcun crimine o misfatto, pagalo senza proferir parola: sarà il segno distintivo della tua innocenza”.

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