Ve lo dico in tutte le lingue: in tempi di Covid, gli imprenditori in crisi sono preoccupati pure per la salute mentale dei dipendenti

Ve lo dico in tutte le lingue: in tempi di Covid, gli imprenditori in crisi sono preoccupati pure per la salute mentale dei dipendenti

di Saro Faraci

Incontriamo Mariagrazia Puglisi. Ha 44 anni, ma in realtà – così ci confida – si sente una ragazza di venticinque per la voglia di vivere e di fare; oggi è mamma, moglie e  imprenditrice.  Lavora da quando ha compiuto diciotto anni, ha svolto tantissimi lavori e «grazie a queste esperienze penso di aver acquisito capacità di adattamento a qualsiasi situazione lavorativa, soprattutto quelle a contatto con il pubblico», ci dice subito. Nel 2001 ha conseguito la laurea in Economia e Commercio e nel 2004 il master post laurea in Management del Turismo che le ha permesso di lavorare per circa 10 anni nel campo turistico/alberghiero, settore Sales & Marketing, prima come dipendente e poi come consulente.

Dal 2007 si occupa anche di formazione linguistica; così, dopo un esperienza da dipendente, inizia nel 2009 la avventura da imprenditrice con l’apertura della Yeschool a Catania. In realtà aveva provato in passato, durante gli studi universitari, ad avviare altre attività imprenditoriali che non hanno raggiunto gli obiettivi sperati.

Una domanda per rompere il ghiaccio. Lei ha preferito ad un sicuro lavoro da dipendente quello più rischioso di imprenditrice. Quanto è difficile oggi per una donna “fare impresa” nel senso di crearla ed organizzarla?

«Nonostante la famiglia mi abbia suggerito sin dal diploma di cercare un lavoro sicuro, il classico “posto fisso”, da sempre sapevo che non era il lavoro adatto a me. Il pensiero di lavorare per 30 anni nello stesso posto mi soffocava. Non provenendo da una famiglia di imprenditori non è stato facile, ho dovuto fare un doppio lavoro per mettere qualcosa da parte per raggiungere il mio obiettivo. L’essere donna spesso non mi ha favorito e, secondo me, ho impiegato più tempo per affermare la mia persona, soprattutto in un contesto come quello siciliano dove l’essere figli di famiglie conosciute ha aiutato tanti a raggiungere obiettivi professionali a mio avviso, in alcuni casi, non meritati»

Ha vinto una scommessa con se stessa, dunque

«La mia vittoria, oggi è il non dover dire grazie a nessuno, ma solo grazie a miei due soci attuali che hanno sempre creduto in me e condividono questo progetto da sempre. L’idea imprenditoriale è stata la mia, ma la chiave del successo della Yeschool sta nell’aver creato un’azienda dove noi tre soci fondatori abbiamo un ruolo specifico, che segue le nostre attitudini e capacità. Condivisione, confronto, dialogo e rispetto delle risorse interne sono alla base della nostra organizzazione»

Prima di dar vita a Yeschool, Lei ha lavorato tantissimo nel settore del turismo, oggi in ginocchio per via del Covid-19. Assumendo in tempi rapidi un ritorno alla normalità, cosa secondo Lei si dovrà fare di più per far crescere il turismo in Sicilia?

«Sono ancora in contatto con colleghi e imprenditori del settore e questo settore è davvero in difficoltà. Per la mia esperienza, dovrebbe cambiare la politica di promozione del territorio per dare un futuro a questa terra. Ma questo è sempre stato un problema per noi ed oggi ancora di più. La Regione Siciliana dovrebbe affidarsi ad esperti del settore e puntare di più sulla promozione verso l’estero con azioni di marketing mirate. Cercare di favorire i giovani che parlano le lingua a fronte di personale presente in molte strutture non aggiornato e con difficoltà nella conoscenza delle lingue»

Andiamo a Yeschool. Quando è nato questo progetto? Con quali obiettivi? 

«Yeschool nasce da una presa di coscienza da parte mia: la conoscenza di almeno una lingua straniera è una necessità in un mondo globalizzato e in Italia, così come nella nostra realtà locale, ho sempre percepito questo bisogno. Pertanto, reduce da un’esperienza come dipendente di una scuola di lingue, presente in tutto il territorio Italiano, ho pensato che sarebbe stato un ottimo business. Così nel 2009 diventa realtà la mia idea di business, insieme ai miei due soci Christopher Reneau e Rosanna Valenti. Il nostro incontro è stata la nostra fortuna, ci differenziamo dalla concorrenza proprio per il modo di gestire la nostra attività, perché il nostro obiettivo è sempre stato quello di creare valore per i nostri studenti, pensare che la possibilità di imparare realmente una lingua avrebbe dato a tanti nostri studenti la possibilità di avere accesso al mondo»

Lo studente dunque al centro dell’attenzione del processo di apprendimento delle lingue

«Sì certamente. E’ importante seguire con attenzione lo studente non per fare numero, ma per accompagnarlo a realizzare il suo obiettivo. In un mondo dove tutti pensano solo al guadagno, noi cerchiamo di mettere al primo posto la soddisfazione dei nostri studenti. Inoltre, abbiamo sempre avuto l’obiettivo comune di riuscire a vivere in un ambiente internazionale, soprattutto per il piacere di lavorare in un ambiente che ci piace. Attualmente la nostra azienda è cresciuta, passando da 3 a 18 unità, con corsi in 10 lingue diverse e una divisione sevizi linguistici. Non mi piace dire di essere migliori della concorrenza, ma sono certa che siamo diversi perché siamo noi, diversi per lo spirito che abbiamo nel fare le cose, per l’attenzione verso i nostri dipendenti e verso i nostri studenti.  Come dico sempre, weare yeschool!»

Ma le famiglie, secondo Lei, hanno compreso l’importanza di far studiare ai propri figli una o più lingue straniere, dato che oggi è impensabile accedere al mercato del lavoro senza competenze linguistiche?

«Bella domanda. Quando abbiamo iniziato, dieci anni fa, molte famiglie ancora non si rendevano conto dell’importanza della conoscenza di una lingua straniera, pensando di rimandare dopo gli studi. Invece adesso le cose sono cambiate: c’è più attenzione per la lingua inglese, ma siamo indietro rispetto all’Europa sullo studio delle lingue dette minori. In realtà oggi più che mai è necessario conoscere più lingue. Ecco il motivo per cui sto puntando alla scuola multilingue»

In tempi di Covid19, immagino che anche Voi – nella prima fase di lockdown – abbiate fatto ricorso alla didattica a distanza. Con quali esiti? Pensate di investire anche in futuro sulle nuove tecnologie informatiche applicate all’apprendimento delle lingue straniere?

«Da ottimista penso che il Covid da una parte è stata anche un’opportunità, perché ha dato spazio ad un’altra modalità di didattica. Noi in realtà da tempo già erogavamo corsi anche a distanza, ma solo su richiesta. Adesso, a causa della pandemia, abbiamo ampliato la nostra metodologia didattica in modo da avere un’offerta più ampia. Corsi in presenza, corsi a distanza con docente live, corsi su piattaforma online e corsi blended. Questo da una parte ci ha portato ad avere più concorrenza, ma dall’altra parte ci ha dato una spinta per crescere e investire in tecnologi: infatti entro la metà del 2021 lanceremo la piattafoma e-learning della Yeschool. In questo modo la nostra idea è di avere la sede centrale a Catania, ma cercheremo di conquistare il mercato Italiano e in futuro quello internazionale»

Cessato il lockdown, sono entrate però in vigore normi stringenti sul distanziamento. Avete ridotto la consistenza delle classi o siete stati costretti a cancellare qualche attività che prima offrivate? O cos’altro?

«Per i corsi in presenza abbiamo ridotto le classi a un massimo di sei unità per classe, siamo riusciti a continuare le nostre attività di didattica a discapito degli eventi in lingua, ad esempio aperitivi multilingua, dove non possiamo garantire il distanziamento. Ma anche per questo settore stiamo cercando di trovare una soluzione alternativa»

Lei è una delle poche imprenditrici che vuole lanciare un grido d’allarme. Ovvero, non c’è nessuno che stia pensando in questo momento ai lavoratori delle piccole aziende, come la sua, che magari continuano a lavorare e a percepire lo stipendio, dunque senza far ricorso alla cassa integrazione, ma stanno lavorando in condizioni disagiate. In che senso? E come andrebbero tutelati?

«Il nostro Governo sta passando un momento difficile e non mi sento di criticare tutto quello che è stato fatto. Anche se, in questo periodo, sono arrabbiata perché mi sento sola e abbandonata. Noi ci troviamo ad affrontare da soli un calo di fatturato che nel nostro settore ha toccato anche l’80% in meno, a fronte di spese e costi invariati. Lo strumento della cassa integrazione non aiuta le aziende, tranne se si chiude l’attività, io penso che l’aiuto vero è quello di far continuare a lavorare le aziende e i lavoratori,  cercando di sollevare le aziende riducendo le tasse e, in alcuni casi, eliminare per un periodo i costi previdenziali, magari mettendo in tasca qualcosa in più ai dipendenti»

C’è sfiducia da parte degli imprenditori?

«Inoltre, noi imprenditori siamo stanchi di vedere uno spreco di soldi pubblici per bonus vari ed eventuali che vengono erogati a tutti senza andare a vedere l’effettiva necessità. Come fanno per la richiesta di mutuo, andate a vedere i conti delle aziende e aiutate chi ha veramente bisogno. In un emergenza come questa si dovrebbe gestire in modo sensato. E, purtroppo, non è sempre stato così»

Lei pensa che, a causa di queste inevitabili disfunzioni organizzative, possano esserci pure disagi a livello psicologico per i lavoratori? Insomma, il momento non è proprio dei migliori.

«In questo momento gli imprenditori sono costretti a pensare alla salute mentale dei dipendenti che, dal punto di vista personale, stanno passando dei disagi psicologici a causa della situazione sociale dovuta al Covid. Ciò ha ripercussioni sul rendimento durante il lavoro. Mi sono accorta personalmente che alcune nostre risorse non stanno bene e, nonostante anche noi imprenditori abbiamo i nostri disagi, non ci possiamo permettere di trascurare chi ogni giorno ci aiuta ad andare avanti. Noi stiamo cercando di avviare delle attività all’area aperta, “ team building”, per sostenere i nostri dipendenti e far sentire che noi ci siamo»

Scusi la battuta, ma non pensa che il disagio psicologico lo stiano vivendo pure gli imprenditori che, come nel suo caso, praticamente vivono quotidianamente sul filo dell’incertezza, non riuscendo a programmare nemmeno l’attività ordinaria? E per Voi cosa si dovrebbe fare?

«Ha toccato il punto più importante, la nostra ansia più grande: l’Incertezza! In un momento come questo l’unico modo per andare avanti è accettare la situazione e rendere questa Incertezza un punto di forza. Perché l’unica certezza è sapere che, se usciremo quasi indenni, sarà tutto in discesa. Adesso è tempo solo di resistere e cercare di non abbattersi»

Di necessità però avete imparato a far virtù, come imprenditori. Cosa le ha insegnato personalmente questo difficile e prolungato tempo di pandemia?

«Personalmente mi ha dato conferma di una cosa che avevo già capito in parte: che nessuno di noi è invincibile e che non dobbiamo mai dimenticare di godere dei nostri affetti, delle cose che ci danno piacere e mi dà conferma che noi della Yeschool abbiamo gestito bene la nostra attività, perché, come ci diciamo sempre noi soci, bisogna aiutare il prossimo ed essere buoni perché tutti possiamo trovarci in difficoltà»

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