Verso l'otto marzo, tra memoria e riflessioni

Verso l'otto marzo, tra memoria e riflessioni

di Alfina D’Oca
avvocato

Otto marzo. Giorno in cui si celebra la festa della donna. Giorno di memoria, di riflessioni. Giorno di storie di diritti conquistati. Giorno di ricordi di ferite e giorno di festa. Ricorrenza che ha ormai decenni di storia. La prima volta del Woman’s Day fu negli Stati Uniti nel 1909 e da allora iniziò ad essere festeggiato in molti paesi del mondo. Anche in Italia la ricorrenza iniziò ad essere ricordata sin dai primi anni Venti ma fu quasi subito soffocata dal fascismo per poi riprendere quota dopo la Liberazione del nostro Paese. Furono quelli gli anni in cui in Italia e in altre parti del mondo iniziarono le prime lotte e le prime rivendicazioni che portarono a numerose conquiste sociali, economiche e politiche per le donne. Si iniziarono ad affrontare temi come lo sfruttamento dei datori di lavoro nei confronti delle operaie, le discriminazioni sessuali nel campo lavorativo. E furono anni in cui si iniziava a parlare di diritti delle donne, primo fra tutti il diritto di voto e il diritto allo studio. Il 2 giugno del 1946 in Italia migliaia di donne si recarono per la prima volta alle urne. Negli anni che seguirono le donne scesero in piazza e lottarono per il riconoscimento sostanziale della loro eguaglianza con gli uomini e per la conquista di pari diritti.

Perché diciamolo chiaramente che ogni diritto riconosciuto ad una donna è sempre stato frutto di una lotta e di una conquista.

Nulla di dovuto, nulla di scontato ma tutto frutto di battaglie vinte. Solo nel 1956 viene varata la legge che prevedeva la parità salariale tra uomo e donna (nonostante ciò ancora oggi si registra una disparità retributiva in vari settori), solo nel 1969 avviene la depenalizzazione dell’adulterio, nel 1970 viene introdotta la legge sul divorzio ed è del 1975 la riforma del diritto di famiglia. Il 16 dicembre 1977, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 32/142, propose ad ogni paese di dichiarare un giorno all’anno la “Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle donne e per la pace internazionale”. Molti Paesi scelsero come data l’8 marzo. Ma oggi che si celebra la festa della donna non vorrei parlare solo della storia di questa ricorrenza e neppure limitarmi ad elencare i diritti negli anni riconosciuti alle donne. Non perché la storia non sia importante ma perché oggi ritengo riduttivo parlare solo di questo.

Oggi ciascuno di noi deve sentire forte il dovere di considerare l’8 marzo come un giorno in cui fermarsi a riflettere sulle discriminazioni e le violenze di cui le donne sono vittime in tutte le parti del mondo, con la consapevolezza che non si tratta solo di donne che vivono in luoghi lontani ma che il tema è a noi più vicino di quanto a volte possiamo immaginare. Viviamo in una società in cui sono ancora fortemente radicati gli stereotipi di genere e in cui la piaga della violenza contro le donne miete vittime ogni giorno. Mi è capitato di andare a portare la mia esperienza di avvocato ai bambini di alcune scuole e di parlare loro facendoli riflettere sui vari modi in cui una donna può essere vittima di violenza. E ho letto negli occhi di alcuni di loro il disagio nel capire che ciò che sentivano dalle mie parole era ciò che a volte vivevano nel loro quotidiano. La violenza può essere psicologica, economica, fisica.  È violenza l’insulto, la minaccia, l’umiliazione, la coercizione, la privazione della libertà. È violenza impedire ad una donna di svolgere un’attività lavorativa al fine di tenerla legata a sé in una condizione di dipendenza economica. È violenza perseguitare una donna fino al punto di costringerla a cambiare le proprie abitudini di vita. E’ violenza picchiare una donna ed arrivare ad ucciderla per l’incapacità di accettare la fine di una relazione. Per tali ragioni la giornata di oggi non può ridursi a regalare mimose e dispensare auguri ma deve portare alla riflessione sul punto in cui siamo arrivati e su quanto ancora possiamo fare. Certamente negli ultimi anni il fenomeno ha ricevuto l’attenzione del nostro legislatore. Molto è stato fatto.

Si pensi all’introduzione, nel 2001, delle misure volte a contrastare i casi di violenza all’interno delle mura domestiche con l’allontanamento del familiare violento, si pensi all’introduzione nel 2009 del reato di “atti persecutori” (stalking), nonché alla recente approvazione del cd. “Codice Rosso” introdotto con la L. n. 69/2019 all’interno del quale vi sono numerose misure per contrastare il fenomeno della violenza come la previsione di tempi più rapidi per il processo, pene più severe per i reati di violenza sessuale e di stalking e l’introduzione di nuovi reati come il revenge porn (consistente nella diffusione sul web di video intimi) e di lesioni permanenti al volto. Ma tali interventi, seppur importanti e necessari per arginare il fenomeno, non sono ancora sufficienti. Ancora oggi negli atti giudiziari si leggono dichiarazioni di questo tenore:

“Puttana, puttana sporca che sei … ti prometto che la paghi; pagherai a caro prezzo con il tuo onore, dirò a tutti chi sei … apri ti devo vedere, se non apri butto a terra il portone e ti ammazzo”.

“Sin dal primo anno di convivenza si è mostrato subito violento e aggressivo nei miei confronti, mi picchiava con calci e pugni al volto … vietandomi di uscire di casa da sola”.

“Tu sei una puttana, tu denunciami e poi vedrai che succede, io non ho paura di nessuno”.

“Mentre mi trovavo in cucina si è avvicinato a me, e appena gli ho detto che non mi doveva toccare, lui mi diceva: <vediamo come non ti tocco> per poi sfilarmi con forza i pantaloni, e mentre cercavo di liberarmi dalla sua presa mi ha sbattuto sul tavolo della cucina, riuscendo nel suo intento”.

“Oggi si è avvicinato iniziando ad istigarmi, finendo col darmi uno schiaffo al volto, stringendomi forte il collo con le sue mani, poi sono riuscita a liberarmi scappando di casa”.

“Mi girava il polso e il braccio e mi spingeva violentemente sul muro … a quel punto sbattevo con il volto sul muro e cadevo a terra non riuscendo più ad alzarmi … non ho più visto nulla, mi si è annebbiata la vista … iniziavo a chiamare aiuto … mi sentivo morire … a quel punto lui mi alzava da terra, mi metteva in macchina e mi accompagnava al Pronto Soccorso”.

“Mi alzava spesso le mani procurandomi delle ecchimosi e delle lesioni … tempo fa mi ha lanciò una sedia nel fianco … una volta mi lanciò dei coltelli uno dei quali mi colpì al polpaccio”.

Non si tratta della fantasia di qualche noto scrittore e neppure delle sceneggiature di un film.  Si tratta di una triste realtà ancora fortemente radicata intorno a noi.

E allora l’8 marzo non può ridursi a giornata destinata a ricordare quanto avvenuto in passato ma deve diventare momento di riflessione sulla condizione femminile oggi e a vari livelli, deve diventare momento in cui bisogna prendere consapevolezza della necessità di educare i nostri figli al rispetto di tutte le donne, a considerarle al pari degli uomini. Deve diventare la giornata del rifiuto di quella cultura becera maschilista che considera la donna una proprietà. Sarebbe doveroso ricordare chi ogni giorno ancora oggi si trova a subire le azioni violente volte a calpestare la dignità di una donna, ad oltraggiarne il corpo, a manipolarne la mente. Sarebbe doveroso celebrare chi lotta tra la paura di morire e la voglia di vivere e non lasciare orfani i propri figli.

Gli auguri, vanno a chi oggi, come allora, non si arrende e a chi ha il coraggio di lottare per la propria autonomia e la propria libertà, a chi non ha paura e a chi ha la forza di bussare alle Caserme delle forze dell’ordine per chiedere aiuto e protezione. Gli auguri vanno a tutte le donne che riescono a liberarsi dai soprusi e ad iniziare una nuova vita.

E un pensiero va anche a quegli uomini che camminano controcorrente, ponendosi accanto alle donne che incontrano nella loro vita. A tutti quegli uomini che sanno amare e rispettare, che sanno ascoltare e capire, che sanno far sorridere e proteggere. A tutti quegli uomini che sanno percorrere la stessa strada condividendo le stesse lotte e le stesse conquiste.

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