WonderLAD, una casa speciale per piccoli affetti da gravi malattie

WonderLAD, una casa speciale per piccoli affetti da gravi malattie

Luigia Carapezza
Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale, Esperto in Psico – Oncologia

Conosciamo Cinzia Favara, presidente LAD Onlus

CATANIA – Giovedì 23 maggio. Ore 17.50, stazione metropolitana di Nesima. Inizia così l’intervista a Cinzia Favara, presidente LAD Onlus. Lei non c’è ma il poster affisso sulle pareti della stazione la precede. Si vede una bambina. La piccola allarga le braccia a forma del suo grande sorriso e con le manine sembra reggere i numeri del conto corrente a cui ognuno può donare il 5 x 1000 e unirsi a LAD Onlus che garantisce “cure&care” ai bambini affetti da malattia oncologica e alle loro famiglie. Sapevo di andare incontro a una donna carismatica ma non mi aspettavo che la prima emozione me l’avrebbe dettata l’immagine di una bambina sorridente nonostante la malattia. Fateci caso al prossimo accesso in Metropolitana.

Migliorare la qualità della vita dei bambini in cura, si può. Svuotare il percorso diagnostico e terapeutico dai contenuti traumatici è uno degli obiettivi della Onlus e stimolare la vitalità dei piccoli e delle loro famiglie attraverso attività creative è ciò che distingue LAD in ogni sua iniziativa. Come nel caso di LAD Project – Architettura che cura e che ha realizzato WonderLAD la casa creata per i bambini affetti da gravi malattie.

Scrivere le prime battute dell’articolo in metropolitana interpreta bene lo spirito di WonderLAD che ha amici ovunque. New York, Lisbona, Madrid, Treviso, Firenze, sono solo alcuni dei luoghi in cui la casa pensata per condividere giochi e attività proprie della vita quotidiana normale – malgrado la malattia – ha incontrato la solidarietà di aziende e di privati pronti a sostenere la Onlus.

Cinzia, ho visto il manifesto in metropolitana. Fantastico!

«L’azienda ha saputo del nostro progetto e si sono letteralmente innamorati. Desideravano aiutarci, si domandavano come la città potesse contribuire a un progetto così importante. E l’idea è stata quella di utilizzare le immagini del 5 x 1000. È un lavoro di rete solidale, persino le stampe sono state realizzate gratuitamente».

Raccontami com’è nata l’idea della casa.

«Tutto inizia con l’esperienza nel reparto di Oncologia pediatrica del Policlinico di Catania».

Ho conosciuto la dottoressa Favara, circa dieci anni fa durante l’esperienza di Tirocinio Post Lauream nel reparto dove tutto ebbe inizio, persino per me. Cinzia si è laureata in psicologia a Roma ma la sua passione per l’arte maturata all’Istituto artistico aveva contaminato l’unica dimensione universitaria che le interessava: la psicologia.

«Quando ero vicina alla tesi ho pensato di conciliare queste due passioni perché sentivo che in qualche modo si univano. Ho chiesto al mio professore se c’era un modo e mi ha presentato un altro docente che si occupava di Arte terapia. Da quel momento questa disciplina avrebbe ispirato la mia tesi». Erano gli anni ’90 internet non era contemplato e l’unico luogo in cui reperire testi utile era la biblioteca ma né Catania né Roma sembravano fornite di libri utili alla ricerca che le interessava. Cinzia era fortunata, suo padre viveva a New York e decideva di raggiungerlo per approfondire i suoi studi.

«Sono rientrata con una valigia gigantesca piena di libri e ho iniziato a lavorare alla mia tesi. Scrivendola mi rendevo conto che questa doveva essere la mia specializzazione. Mi piaceva infinitamente. A quel punto si trattava di scegliere tra Londra e New York, sedi in cui erano disponibili i master. Io già lavoravo a Catania, messa in regola a tempo indeterminato, mi sono licenziata».

Ti sei licenziata? Direi una scelta azzardata…

«Lavoravo in una casa di accoglienza per pazienti psichiatrici, però ho capito che il mondo della psichiatria non era fatto per me o io non ero fatta per la psichiatria. Capivo cosa non potevo fare e che cosa non avrei scelto per la vita. Mi sono licenziata e sono partita per New York senza sapere esattamente cosa andavo a fare. Il secondo anno, ho ricevuto la proposta di una fellowship al Mount Sinai Hospital, uno dei più importanti Ospedali di New York. Avrei avuto maggiori responsabilità ma per me il “neo” era essere stata assegnata al reparto di pediatria e io non mi sentivo portata per l’area pediatrica e quindi non volevo fare questa esperienza, non mi interessava. Poi mi sono detta: non puoi rinunciare Cinzia! Sei al Mount Sinai, per giunta pagata ed è un’esperienza unica! Dopo due giorni di lavoro ero innamorata».

Com’è potuto accadere? Come te lo spieghi.

«Vedi, le cose “arrivano” e tu razionalmente non lo sai ma il tuo destino lo sa per te quello che devi fare basta un poco ascoltarlo, seguirlo e così è stato e sono impazzita, mi sono appassionata, capivo cosa voleva dire prendersi cura del dolore affettivo legato alla dimensione fisica, che cosa voleva dire stare in ospedale coi bimbi ammalati. Ho avuto accesso al Child Life and Creative Arts Therapy Department, una struttura parallela a quella medica, un contesto che si prende cura dei bambini. Il livello di formazione per chi accompagna questi bambini è altissimo e profondissimo. Ho imparato tanto! A breve si presentava la possibilità di rimanere a lavorare lì e dunque un’altra scelta: rimanere qua o rientrare in Italia? Perché mi piaceva anche l’idea di portare in Italia quello che avevo imparato in America. Inizio il mio primo percorso analitico e insieme all’analista, capivamo che tutto quello che dicevo e portavo in terapia era una prospettiva italiana della mia esperienza».

Sono trascorsi più di vent’anni da quell’esperienza che si sarebbe rilevata illuminante per l’organizzazione del supporto psicologico in oncologia pediatrica, prima e per la progettazione di WonderLAD, anni dopo. Nel prossimo articolo racconterò il seguito di questa grandiosa storia di solidarietà svelando altri aneddoti che hanno contribuito alla nascita di un sogno. Intanto lasciatevi ispirare e donate, se potete.

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