“Zampognarea” un viaggio tra zampogne e cornamuse per rivivere le tradizioni popolari

“Zampognarea” un viaggio tra zampogne e cornamuse per rivivere le tradizioni popolari

di Maria Francesca Greco

La perla di oggi è a suon di zampogne. Si respira già aria di Natale un po’ ovunque. Le luci, gli addobbi, i presepi, le musiche natalizie, ma non è Natale senza il suono dolce delle zampogne e delle cornamuse che allietano le serate spensierate e le novene. A Catania sarà un mese pieno di musica popolare, suoni del passato, folklore e storia che  si fondono insieme in una kermesse organizzata dalle associazioni Areasud e Darshan con il patrocinio dell’Assessorato del Turismo, Sport e Spettacolo e del Parco archeologico e paesaggistico di Catania e della Valle dell’Aci della Regione Siciliana, e dell’Assessorato alla cultura del Comune di Catania. E’ il XVI Festival “Zampognarea – Il mondo delle zampogne tra uomini e suoni” con la direzione artistica di Marizio Cuzzocrea, inaugurata sabato scorso nella sala dell’Esedra di via Teatro Greco.

“Zampognarea” è un festival dedicato alla riscoperta del patrimonio musicale tradizionale, in particolare degli strumenti ad ancia, ma anche una mostra permanente di strumenti musicali e fotografie visibile durante tutto il periodo natalizio fino al 7 gennaio. Le manifestazioni, realizzate con la partecipazione della bottega d’arte Cartura, l’associazione Alkantara (impegnata nella didattica musicale secondo il metodo Abreu) e l’Oratorio San Filippo Neri,  si svolgerà in diversi luoghi di Catania offrendo un mese ricco di eventi: concerti, incontri, esibizioni, laboratori creativi per bambini e molto altro. “Zampognarea”, che fa parte delle iniziative inserite in “Italiafestival”, la più importante associazione di festival italiani, quest’anno vanta il marchio di qualità dei festival europei EFFE LABEL, avendo superato la selezione della European Festival Association.

Prossimo appuntamento il 12 dicembre alle ore 19.00 presso la Chiesa S. Filippo Neri con il concerto “Natus Est” con  una rilettura della tradizione musicale legata al Natale con Franco Barbanera, Maurizio Cuzzocrea e Vittorio Ugo Vicari.

Un viaggio tra zampogne e cornamuse per rivivere le nostre tradizioni popolari, perla della cultura siciliana.

Intervista al direttore artistico della manifestazione Maurizio Cuzzocrea.

Come nasce il progetto “Zampognarea”?

“Zampognarea nasce nel 2009 dalla riflessione comune di un gruppo di ricercatori, musicisti e studiosi delle musiche di tradizione orale: se da anni condividiamo la passione per le zampogne e le cornamuse e se tutta la nostra ricerca si sviluppa nella relazione tra musica e umanità, intesa nella sua dimensione comunitaria, perché non lavorare in rete a un progetto di valorizzazione e divulgazione degli strumenti tradizione, della loro storia e della storia degli uomini che, ieri come oggi, li studiano, li suonano e li costruiscono? Da questo è nata la prima edizione, che si è tenuta in un antico monastero del 1100, a Paola, in Calabria. Zampognarea, infatti, nasce come progetto itinerante tra le regioni del sud e le prime edizioni sono organizzate tra Sicilia, Calabria e Campania. Poi, come tutte le storie personali e comunitarie, Zampognarea è cresciuta, è cambiata e oggi si presenta come un festival musicale con una sede stabile a Catania, una rete consolidata di persone e associazioni che ne costruiscono il programma e il riconoscimento della validità del progetto nel panorama nazionale e internazionale”.

Qual è l’obiettivo di questo progetto?

“E’ la domanda più difficile! In fondo questo festival vuole essere una riscoperta della relazione tra gli esseri umani e il suono. Del resto noi siamo immersi in un suono costante, che facciamo fatica a decodificare e a collocare nella nostra vita quotidiana. L’impressione è che la musica sia quasi scappata via dalle nostre vite, per lasciare le persone separate da una pratica cosciente, che non è necessariamente apprendere la tecnica di uno strumento, ma almeno ridurre lo spazio che il suono di sottofondo indistinto ha occupato nella nostra giornata. Quindi se un obiettivo c’è, è quello di far scattare la scintilla della possibilità di lasciarsi attrarre dal suono, soprattutto da quello delle zampogne, che sono strumenti di fascino straordinario, già a partire dalla vibrazione corporea che si espande nel suonatore”.

Cultura e musica legate insieme possono servire alla promozione del nostro territorio e al recupero di aspetti fondamentali della nostra storia?

“Non c’è musica senza cultura, né dalla cultura possiamo escludere la musica. La nostra tendenza occidentale e contemporanea a creare steccati e separazioni ci porterà a non riuscire più a sviluppare un progetto di società, una visione del mondo. Non so se Zampognarea può servire alla promozione del territorio, penso invece che il territorio, con i suoi attori sociali ed economici pubblici e privati, dovrebbe promuovere Zampognarea, cioè un festival che è identitario non in termini di autoreferenzialità locale, ma nella costruzione di una relazione tra identità e culture che riconoscono il suono, il canto, la pratica musicale quali strumenti principali della comunicazione e delle relazioni di comunità. Sul recupero poi ci sarebbe molto da dire. Noi non vogliamo recuperare niente, né fare operazioni museali o nostalgiche. Se si sono estinti i dinosauri, si potranno estinguere anche zampogne, lire, chitarre battenti e tamburelli. Ma se ce ne occupiamo è perché sono strumenti vivi e in piena attività. E’ cambiato lo scenario, non c’è, nel nostro fare musica, una dimensione di folklore e di relazione con la musica popolare. Sappiamo benissimo che il nostro lavoro di ricerca musicale non ha più nulla a che fare con la popolarità e la riconosciuta diffusione di massa, ma questo è un dato che dovrebbe essere acquisito ormai da decenni. I neo-melodici sono popolari, Fedez e Achille Lauro lo sono, gli zampognari contemporanei e i musicisti che suonano strumenti tradizionali sono molto più vicini a una musica di ricerca e di sperimentazione, anche con contaminazioni legate al jazz, alla world music e al rock”.

Quanto è importante investire sulla cultura e sulle tradizioni ai tempi dei social?

“E’ importantissimo, perché il web, i social, ti costringono ad una operazione di comunicazione in cui non ci può essere mistificazione. C’è così tanta ricchezza di informazioni e di materiali audio e video in circolazione, che non puoi inventare nulla che non sia verificabile. Oggi suoni e ti trovi in diretta Facebook o in una storia di Instagram senza nemmeno saperlo. E’ un’operazione verità. In questo la popolarità dei social può restituire popolarità a strumenti e repertori musicali. Di certo i tempi lenti dell’acquisizione di saperi e competenze sulle musiche di tradizione orale contrastano con la velocità e il consumo di notizie e informazioni che sono tipici della comunicazione oggi, ma è una grandissima occasione che fino a quindici anni fa ci era completamente preclusa. Ma c’è da fare anche un’autocritica al mondo che fa riferimento al folk, perché una dimensione oleografica si affaccia sempre e purtroppo spesso nei gruppi più recenti o più assetati di successo, che non si misura dal numero di serate o dalla quantità di pubblico, ma dalla capacità di dire, o meglio suonare, qualcosa che abbia senso in relazione a una storia di suoni e repertori che è molto più vecchia di tutti gli altri generi musicali in circolazione oggi”.

Quali saranno le emozioni  promesse da Zampognarea ai suoi visitatori?

“Vorrei dare un suggerimento a chi ci legge, lasciatevi avvolgere dal suono della zampogna. Il resto sono solo parole”.

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