Migranti: ingressi dall’estero per lavoro. Nuove quantità, vecchi problemi

Migranti: ingressi dall’estero per lavoro. Nuove quantità, vecchi problemi

In un contesto di cronico invecchiamento dell’Italia, per compensare la diminuzione della popolazione in età lavorativa (-7,8 milioni entro il 2050) sarebbero necessari ogni anno almeno 280mila nuovi ingressi  dall’estero fino al 2050. Eppure, le pervicaci politiche di chiusura verso i migranti ne hanno di fatto bloccato  i canali di ingresso per lavoro da 12 anni, alimentando la crisi di manodopera in comparti vitali dell’economia nazionale e svilendone il contributo alla tenuta demografica del Paese. 

Il 27 settembre 2023 il governo ha approvato la “Programmazione dei flussi d’ingresso legale in Italia dei  lavoratori stranieri per il triennio 2023-2025”, dopo 18 anni dall’ultima pianificazione triennale, che per il  2004-2006, però, pianificava anche le politiche di integrazione, questa volta non contemplate. Saranno  ammessi in Italia complessivamente 452mila lavoratori stranieri: 136.000 nel 2023, 151.000 nel 2024 e  165.000 nel 2025.  

Il provvedimento, varato su forte pressione dei datori di lavoro (in grave carenza di manodopera sin dalla  crisi pandemica), segna una discontinuità rispetto a 12 anni di paralisi, tuttavia è ancora molto lontano dal  coprire l’effettivo fabbisogno (stimato dal governo in 833.000 lavoratori nello stesso triennio: 274.800 per  il 2023, 277.600 per il 2024 e in 280.600 per il 2025) e – in mancanza di una riforma del meccanismo a cui  soggiacciono, da oltre 20 anni, gli ingressi e le permanenze per lavoro dall’estero – è soggetto alle stesse  gravi distorsioni osservate lungo questo intero periodo. 

Il cosiddetto “Decreto Cutro” di inizio 2023, infatti, pur avendo previsto alcune aperture e migliorie  procedurali (semplificazioni per il rilascio del nulla osta al lavoro, asseverazioni non necessarie se la  domanda è presentata tramite organizzazioni datoriali, possibili quote riservate a singole categorie di  lavoratori, marginali ingressi “fuori quota” di cittadini di Paesi con cui l’Italia abbia sottoscritto accordi di  rimpatrio o di stranieri che completino riconosciute attività di formazione all’estero, ingressi riservati al  settore domestico e dell’assistenza ecc.), non ha toccato l’impianto che da ormai 25 anni (ovvero dal Testo  Unico sull’Immigrazione del 1998, passando attraverso i rigidi inasprimenti della legge Bossi-Fini del  2002) regola, in maniera del tutto irrealistica, l’incontro tra domanda e offerta di lavoro per i migranti. 

Non solo, infatti, l’ingresso di un lavoratore straniero dall’estero è soggetto a previa chiamata nominativa  “al buio” da parte del datore di lavoro che sta in Italia (il quale deve formalizzare un’opzione individuale  senza mai aver conosciuto di persona il suo futuro dipendente), il che è tanto più assurdo se si pensa che 3  lavoratori stranieri ogni 4 in Italia sono impiegati in aziende medio-piccole, per lo più a conduzione  familiare, o presso le famiglie, come collaboratori domestici e badanti (ovvero in contesti in cui è importante un rapporto di fiducia instaurato previamente); ma il rilascio e il rinnovo del permesso di  soggiorno sono rigidamente vincolati, rispettivamente, alla sottoscrizione e alla vigenza di un contratto di  lavoro: una saldatura quanto più anacronistica, tanto più che il mercato del lavoro è divenuto, in questo  quarto di secolo, più flessibile e precario per tutti. 

Se a ciò si aggiunge che la stessa legge del 2002 ha abolito il permesso di ingresso per ricerca lavoro, grazie  al quale un immigrato poteva soggiornare in Italia per un anno, a spese di una struttura “sponsor”, per  cercare direttamente un’occupazione nel Paese, non stupisce che l’impraticabilità di un simile  meccanismo abbia alimentato un utilizzo improprio delle quote d’ingresso stabilite dai Decreti flussi:  fingendo la chiamata dall’estero del lavoratore già alle proprie dipendenze, sono state sistematicamente  usate come una “regolarizzazione mascherata”, paradossalmente più rapida e semplice della stessa  procedura di regolarizzazione del 2020. Quest’ultima, oltremodo lenta e macchinosa negli esiti, se si  considera che, a ben 3 anni dalla presentazione delle domande, ne ha portate ad esito definitivo meno della  metà: il 31% (circa 65.200 su un totale di 207.500) con il rilascio di un permesso per lavoro e il 15% con  un rigetto. Si tratta, evidentemente, di meccanismi e procedure funzionali alla creazione e al mantenimento  di un sistema che rende strutturalmente fragile e ricattabile la posizione dei lavoratori immigrati,  esponendoli al rischio di sfruttamento.  

Anche quando è regolarmente impiegata, la manodopera straniera in Italia è spesso relegata a lavori precari,  faticosi, sottopagati e rischiosi per la salute. Quasi due occupati stranieri su tre svolgono mansioni  operaie o di bassa qualifica, una quota doppia rispetto agli italiani. Il prevalente impiego in attività di  questo tipo si riflette in retribuzioni inferiori di ben un quarto rispetto alla media. Questa compressione  salariale ha peraltro ridotto la capacità di risparmio, scesa dal 38% del reddito nel 2017 al 27% nel 2022,  tanto più che circa un lavoratore straniero su cinque è impiegato in part-time involontario, contro solo uno  su dieci tra gli italiani (condizione che spesso nasconde ore complementari lavorate in nero).  

“In uno scenario – rileva Luca Di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS – in cui il rapido e  strutturale invecchiamento della popolazione autoctona, insieme alla fuga delle leve più giovani e  qualificate dall’Italia, contrae sempre più la base occupazionale, mettendo a repentaglio produttività e  competitività del Paese, è fondamentale, per il bene comune oltre che degli immigrati, accantonare un  impianto normativo sorpassato e vizioso, puntando su una riforma dei meccanismi regolari di ingresso dei  lavoratori stranieri e di incontro con la domanda di lavoro interna più realistico e aderente all’effettivo  funzionamento del mercato, basato, in via complementare, anche su meccanismi di regolarizzazione  permanente su base individuale e sulla reintroduzione dell’ingresso per un anno per ricerca di lavoro  mediante uno sponsor”. 

Anticipazioni del Dossier Statistico Immigrazione 2023 a cura di IDOS, in collaborazione con Centro Studi Confronti e Istituto di Studi Politici “S. Pio V”

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