Nonostante la pandemia e la crisi del turismo, cerchiamo di essere portatori sani di cambiamento

Nonostante la pandemia e la crisi del turismo, cerchiamo di essere portatori sani di cambiamento

di Saro Faraci

CATANIA – Anno di grazia 2020, anno di pandemia e di grande crisi per l’economia. Proviamo però a vedere il bicchiere mezzo pieno e lo facciamo con Matilde Cifali,  40 anni, siracusana di nascita, catanese di adozione. E’ un’imprenditrice nel settore della ricettività extra alberghiera e ricopre un ruolo di vertice in Confcommercio Catania. Ha deciso di rompere il silenzio e di lanciare un appello perché la categoria degli operatori turistici, ma in generale quella più ampia degli imprenditori, rischia di uscire con le ossa rotte dalla pandemia. Un filo di speranza però c’è sempre nella vita ed è da qui che parte la nostra chiacchierata con la giovane imprenditrice.

«Ho una laurea triennale in Economia Aziendale e una specialistica in Management Turistico conseguita con il massimo dei voti – esordisce, raccontando un po’ di se stessa. Il mio primo lavoro è stato quello di animatrice di feste per bambini, avevo 16 anni. Poi ho lavorato come assicuratore, poi come contabile, tirocinante commercialista. Ho la passione del canto sin da quando ero ragazzina. Cantavo nei pub di Catania, ai matrimoni, e facevo parte del coro dell’Ersu dove è nata la mia passione per la lirica. Ho preso lezioni private e mi sono riscoperta soprano lirico»

Complimenti per i suoi trascorsi professionali ed artistici. Ci dica: cosa l’ha indotta ad abbracciare una attività imprenditoriale nel campo della ricettività turistica, rinunciando magari ad un lavoro più stabile e sicuro, allineato alle competenze da lei maturate durante gli studi universitari?

«Il passo non è stato così facile e immediato come forse può sembrare. Vengo da una famiglia modesta dove regnava “l’ideologia del posto fisso”. Avevo pensato anche alla libera professione, ma la vita aziendale è quella che mi ha sempre affascinato. Il mio percorso universitario ha fatto esplodere quella voglia inconscia di fare impresa! Non vedevo l’ora di seguire le nuove lezioni delle discipline aziendali e di scommettermi, magari con qualcosa di mio. Poi l’amore incondizionato per la mia terra. Quale miglior modo per promuovere la mia isola e le sue bellezze se non il quotidiano incontro con il turista? Così grazie anche all’appoggio di mio marito e agli studi di finanza agevolata, nel 2011 nasce la mia struttura»

Una scelta coraggiosa la sua. Vediamo però ancora poche donne nelle posizioni di vertice di imprese, aziende ed organizzazioni in Italia. E’ un retaggio culturale oppure effettivamente ci sono ostacoli che si presentano alle donne quando vogliono fare impresa?

«Il vero ostacolo è la “non cultura”. La nostra società, nonostante stia vivendo l’epoca del nuovo millennio è rimasta ancorata allo stereotipo di donna “domestica”. E se ci pensiamo bene, ci sono dei compiti, ancora oggi, percepiti come esclusivamente femminili, come pensare alla casa o accudire ai figli. Ancora oggi una donna che vuole fare carriera, molto spesso deve rinunciare alla famiglia, oppure deve essere disposta a lavorare h24, a non avere nessun giorno di ferie o malattia»

Come si chiama la struttura ricettiva che gestisce e in cosa, secondo lei, si differenzia da altre del genere che sono presenti in abbondanza nel territorio?

«Antiche Volte è un affittacamere di charme. Ci tengo a sottolineare la differenza con il bed and breakfast (per quanto impropriamente è chiamato così). L’affittacamere è una vera e propria attività imprenditoriale, con obblighi specifici molto simili a quelli di un hotel dal quale differisce per dimensioni e perché non ha l’obbligo di reception H24. Il B&B è, viceversa, casa propria, vi è l’obbligo di residenza e non ha obbligo di partita IVA, infatti non è una attività imprenditoriale ma spesso un modo per arrotondare le entrate familiari. Quando ho aperto, 9 anni fa, le strutture ricettive extra alberghiere a Catania erano un numero esiguo. Oggi vi è stato il boom»

– A chi si rivolge principalmente?

«Il mio target di riferimento è quello del business. Camere e servizi sono stati studiati principalmente per chi è costretto ad allontanarsi da casa per lavoro ma non vuole comunque rinunciare al calore familiare. Questo mi permette di lavorare tutto l’anno e distribuire al meglio il problema della stagionalità»

– Andiamo alle note dolenti. Il Covid-19 ha messo letteralmente in ginocchio l’intera filiera del turismo già durante il primo lockdown. Adesso con le nuove misure restrittive, dopo una timida ripresa dei ricavi durante il periodo estivo, un’altra mazzata. Ci dica la verità: lei pensa che alcune strutture ricettive chiuderanno per sempre?

«Purtroppo non tutti avranno la forza di ripartire! Ci sono i costi fissi, di cui nessuno parla, che insieme a imposte, tasse e utenze pesano come un macigno sulle nostre spalle. Spesso si rinuncia anche al reddito personale. Questa è una situazione limite, non stiamo parlando di una cattiva gestione aziendale imputabile a scelte sbagliate dell’imprenditore, ma di restrizioni e imposizioni dettate dallo Stato che di fatto eliminano la domanda»

– In qualche momento, ha accarezzato anche lei questa idea di chiudere per sempre la sua struttura ricettiva?

«Assolutamente no, forse sarò pazza, ma sto pensando addirittura ad un ampliamento! Certo nella speranza che si trovi un “freno” alla pandemia e che si possa ritornare alla “vecchia” normalità»

Ferma restando la gravità dell’emergenza sanitaria, il Governo nazionale secondo lei ragionevolmente cosa avrebbe dovuto fare per sostenere il turismo? Non l’aveva già fatto con il bonus durante l’estate per favorire il turismo domestico? E il governo regionale?

«Purtroppo non si vive di turismo domestico, qui di domestico c’è solo il calore familiare. Il bonus vacanze è stato un vero fallimento! Anzitutto si sarebbero dovute distinguere le zone. Mi spiego meglio: il siciliano che è stato rinchiuso in casa per ben due mesi, in estate vuole andare al mare o in montagna, non di certo al centro città anche perché musei o attrazioni erano spesso chiusi (già lo erano in “tempi di pace!”) e soprattutto non vuole prendere il caldo afoso tra le vie cittadine»

E per tutti gli altri?

«Per il resto degli italiani vale più o meno lo stesso ragionamento, le città d’arte sono solitamente mete ambite ma quest’anno la situazione è diversa; inoltre nello specifico, Catania non si può definire tale. Il governo si è trovato ad affrontare una situazione assurda e assolutamente nuova che nessuno di noi avrebbe potuto mai immaginare, quindi non critico i provvedimenti adottati ma i tempi di attuazione e soprattutto questa brutta ricaduta, alla quale potevamo prepararci meglio»

– Insomma, cosa si poteva fare di più?

«Spostare la scadenza di un pagamento, nel caso specifico delle tasse, non elimina il problema ma lo rimanda, con il rischio, alto, di un forte indebitamento. Mi chiedo anche se l’idea di chiedere un contributo di solidarietà a quei settori che non hanno visto la crisi sia così azzardata. Escludendo chi si trova in prima linea come gli operatori del sistema sanitario, è una misura che è stata adottata in passato ad esempio per il sisma ’90»

Oltre il danno, pure la beffa. Le attività imprenditoriali sono chiuse o comunque limitate nelle funzioni, ma spese e costi aziendali continuano a sostenersi regolarmente, senza alcuna sospensione temporanea da parte del Governo o qualche ulteriore misura di sostegno pubblico. Ci può fare qualche esempio nel suo settore?

«Le strutture ricettive non hanno alcun obbligo di chiusura, possiamo lavorare “regolarmente”. Peccato che non sono consentiti gli spostamenti interregionali  e intercomunali, sono stati soppressi molti voli, la gente è invitata a non spostarsi se non per motivi di necessità ed è incoraggiato lo smart working. Quindi mi chiedo chi dovremmo ospitare? Il concittadino che è stato buttato fuori di casa dalla moglie oppure potremmo pensare di convertire la struttura in “daily use”? Insomma una beffa»

– In carenza di domanda turistica, si rischia l’asfissia aziendale.

«Rimanere aperti per (forse) una camera è controproducente, genera più costi che ricavi. Quindi moltissimi abbiamo deciso di chiudere. Mettere in cassa integrazione i dipendenti,  fermare i contratti con i fornitori, senza alcun sostegno da parte dello Stato. Mi chiedo se anziché programmare aiuti a pioggia, forse sarebbe stato il caso di studiare meglio l’allocazione delle risorse»

Lei è Presidente di Terziario Donna di Confcommercio Catania. Qual è la situazione nel terziario in generale? E cosa può farsi in concreto per il commercio al dettaglio, che nel nostro territorio è una componente fondamentale del tessuto economico?

«La situazione nel terziario non è di certo migliore. Tra crisi economica e paura, i consumi calano drasticamente e si spostano soprattutto sui beni di prima necessità. Di questi tempi la parola d’ordine è resistere e cercare di reinventarsi per sopravvivere, per esempio implementando l’offerta sul web»

– Lei affianca suo marito, Giorgio Vanadia, nella gestione di un’attività industriale nel campo delle ceramiche artistiche. In quel settore, si è fatta sentire pure la crisi economica per effetto del Covid-19?

«Certamente! Produciamo delle bellissime cose ma in questo periodo passano decisamente in secondo piano. Poi la chiusura dei negozi nelle zone rosse e le restrizioni nelle zone arancioni hanno dato un duro colpo alle vendite. Ancor più complicato è esportare. Uniche note positive derivano dai dati relative alle vendite online che segnano un aumento e alle quali dedichiamo sempre maggiori attenzioni, anche se ad oggi i negozi restano il nostro principale canale di vendita»

Proviamo a vedere il bicchiere mezzo pieno. Ci sono nuove opportunità che si presenteranno al terziario, e al turismo, quando finirà l’emergenza sanitaria e si tornerà alla normalità? Qualche possibile innovazione in questi ambiti?

«Spero proprio di si. Questa situazione ha dato una notevole spinta alla “digitalizzazione e all’apertura verso nuove realtà.  Nel mio piccolo ci siamo attrezzati ad esempio con accessi da remoto, abbiamo utilizzato la domotica. Come si dice dalle nostri parti “ogni impedimento è giovamento” . Quindi siamo ottimisti e cerchiamo di trarre il meglio»

Ultima domanda. Lei si è sempre dichiarata innamorata di Catania. Ci dica due o tre cose che, da subito, potrebbero farsi per rendere la città più bella e attrattiva, pronta a riaccogliere i turisti quando cesserà la pandemia.

«Cerchiamo di tenere pulita la nostra città e cerchiamo di essere “portatori sani di cambiamento.” Rendiamo fruibili i nostri siti, magari chiedendo che la gestione passi dalla ragione ai privati.  Sfruttiamo il Teatro greco, in pieno, al pari di quello di Taormina. Spesso è un problema di “competenza”. Molti beni che noi crediamo di proprietà comunale sono regionali e questo crea un’incredibile confusione ed incapacità di gestione del bene. Diamo spazio alla nostra storia, non diamola per scontata: riesumiamo i nostri miti, creiamo uno storytelling e rendiamoli appetibili»

– In che modo?

«Catania, ad esempio, è la patria di Bellini, proviamo a farlo rivivere. E poi, non meno importante: Catania è una città sul mare che non vede e non vive il mare. Perché non iniziare ad allungare la stagione balneare, dato che il nostro clima lo permette. Perché aspettare luglio per costruire un solarium e non farlo da aprile fino ad ottobre? Queste e tante altre idee. Mi sono innamorata di Catania perché è una città giovane e dinamica, dove esistono ancora dei sognatori che hanno voglia di cambiare in meglio la nostra società»

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