Salute mentale, “alla Rems di Caltagirone ripercorriamo il nostro passato e costruiamo in maniera sana il nostro nuovo futuro!”

Salute mentale, “alla Rems di Caltagirone ripercorriamo il nostro passato e costruiamo in maniera sana il nostro nuovo futuro!”

di Katya Maugeri

«Per me la Rems è vivere un tempo in cui ripercorrere il mio passato, fatto di problemi con la giustizia per poterlo integrare in maniera sana e costruire un nuovo futuro». Sono le parole di Pasqualina e raccontano una realtà condivisa insieme con operatori, specialisti e compagni di viaggio.

Sono trascorsi sei anni da quando gli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) sono stati chiusi e sostituiti da un sistema di welfare di comunità, dai servizi sociali e sanitari dei quali fanno parte i Dipartimenti di Salute Mentale, al cui interno operano le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (Rems).

Una esperienza, quella della Rems di Caltagirone, che si proclama come realtà democratica in cui il principio di fondo è la ricerca della responsabilità delle persone, le quali devono ritrovare in un percorso con un tempo definito, la capacità di rientrare in società. Una evoluzione: il passaggio delle funzioni della sanità penitenziaria al servizio sanitario regionale promuovendo la cura delle persone e della loro salute mentale dentro e fuori i luoghi di reclusione.

L’impatto dell’emergenza sanitaria da Covid sulla salute mentale è stata devastante. Una duplice emarginazione che ha amplificato la condizione di disagio delle persone ospitate.

Il malessere psichico non è immediatamente tangibile. E passa in secondo piano. Il lockdown ha incrementato la diffusione del disagio mentale e molta gente ha cominciato a tentare di curarsi da sé, talvolta peggiorando la condizione di malessere. È salita vertiginosamente la frequenza di giovani – e non solo – che hanno cercato rifugio nelle sostanze, con tutte le conseguenze a cascata correlate.

«Il benessere deve essere inteso come una condizione di carattere biopsicosociale, spiega Salvatore Aprile Psichiatra Responsabile UOSD Rems Caltagirone, invece, per fronteggiare l’emergenza i primi ad essere stati sacrificati sono i servizi di integrazione con il territorio, amplificando il senso angosciante di restrizione nella restrizione di un cittadino che magari attraverso la rete territoriale poteva beneficiare di una dignitosa qualità di vita».

«La Rems è un posto in cui ti curi in base al problema specifico. Io mi sentivo in pessime condizioni e non capivo. Ora mi sento un’altra persona. Ho legato con tutti, mi danno consigli, mi stanno vicino, mi sento voluto bene», racconta Francesco.

Ma da fuori la realtà della salute mentale è ancora – e troppo spesso – messa ai margini, perché?

«Il quesito va affrontato tenendo in considerazione la realtà odierna, ci spiega lo psichiatra Dario Prestifilippo. In una società caratterizzata dall’immediato soddisfacimento dei propri bisogni  mediante la rete  (basta un click per ottenere immediatamente ciò di cui si ha bisogno) il tempo per le riflessioni sul sè, sulle proprie sensazioni e sul mondo  risulta obsoleto.

Ciò porta, in un contesto di pandemia mondiale, a sottovalutare l’impatto che una situazione di restrizione  mai vista prima nell’era della globalizzazione possa avere nella psiche di ognuno.  Se a questo si aggiunge lo stigma e la “paura” per il diverso, in questo caso identificabile nel soggetto affetto da un disturbo mentale,  appare evidente come la marea  Covid abbia  lasciato sulla riva una  enormità di pesci in procinto di annaspare di fronte all’ enorme senso di  vuoto che ci lasciano ogni giorno l’ isolamento e le restrizioni. Il malato psichiatrico appare in questo contesto una persona” più diversa degli altri” nella già preesistente diversità data dalla pandemia».

La sintomatologia in salute mentale tende a essere latente finché non sfocia in disagio dirompente.

«In un’epoca on-demand anche le istituzioni funzionano su richiesta (in quanto fatte della nostra stessa pasta), spiega Martina Raniolo tecnico della riabilitazione psichiatrica, e queste procedono mettendo una pezza dove c’è una perdita. E la salute mentale passa in secondo piano».

Così il disagio si affronta nel momento in cui è già pervasivo. Ed è già complicato arginarlo. E poi c’è la questione, forse antropologica, della tendenza a negare la sofferenza psichica, che porta generalmente a considerare il malessere psicologico come qualcosa “che capita agli altri”. In condizioni come una pandemia, in cui le restrizioni ci portano necessariamente ad entrare maggiormente in contatto con noi stessi, capita di accorgersi che però “l’altro” sono io stessa. E talvolta fa così paura che si preferisce negarla, quella sofferenza. E la negazione fa slittare la priorità del benessere mentale.

Alla Rems cresco e imparo cose nuove. Per me è importante perché non mi sento pieno di psicofarmaci, siamo tutti come in una famiglia. Durante le riunioni discutiamo e se c’è un problema lo affrontiamo tutti insieme. Una soluzione si trova sempre.

Giovanni, Sonia e Salvatore descrivono così la Rems di Caltagirone, che da anni mette in atto un piano terapeutico all’avanguardia, mirato al miglioramento della vita dei propri ospiti.

Ma come hanno vissuto i ragazzi e gli adulti in questo periodo complicato?

«Il lockdown ha impreziosito il valore terapeutico del mare quando ci siamo tornati quest’anno con restrizioni minori. La “rivoluzione gentile”, citando Franco Corleone per noi è anche questo» ci racconta Martina Raniolo.

Durante i gruppi di psicoterapia di comunità era tangibile l’angoscia diffusa tra tutti i partecipanti, senza distinzione tra utenti ed operatori.

«Ogni giorno, ancora in questa fase, si aprono confronti su come affrontare e vincere questi stati emotivi tanto intensi da risultare persino invalidanti. Sì è creato un clima di comprensione che ci ha permesso di vivere il lockdown come un’opportunità per poter dare uno sguardo più approfondito dentro di noi e per potenziare i servizi che eroghiamo, continua Salvatore Aprile. Gli ampi spazi ci hanno aiutato a sopportare meglio le restrizioni: i giardini ed il potenziamento del gruppo cucina hanno smorzato il senso di restrizione dato dall’impossibilità di poter uscire per andare al bar o a mangiare una pizza o a fare acquisti personali».

Una equipe unita che non ha smesso di garantire la propria presenza, come ci racconta Vito P. Ragusa OSS della Rems. «L’emergenza sanitaria da Covid alla Rems di Caltagirone e stata presa con professionalità e serenità da parte dei sanitari ma soprattutto degli ospiti, abbiamo fatto in modo di non fare sentire la mancanza dei familiari con l’ausilio delle video chiamate, servizio che manterremo anche non appena cessata l’emergenza e quindi non si sono sentiti abbandonati. Poi abbiamo affrontato il problema durante le riunioni giornaliere in cui partecipano tutte le persone presenti in struttura, non soltanto gli utenti».

Alla Rems di Catagirone si costruiscono relazioni e progetti bellissimi, come il corto “Fase Rems”, in cui alcuni ospiti raccontano, insieme a degli operatori, anche con ironia il disagio, le nuove regole e la solitudine causate dal Covid.

«Abbiamo capito che non ha senso parlare di “noi e loro” perché ci siamo accorti di attraversare momenti caratterizzati da stati emotivi molto simili. Spiega Silvia Alberghina, coordinatrice infermieristica e responsabile del progetto insieme a Martina Raniolo. Il corto è stato un veicolo di resilienza, in cui poter trasformare in sano e utile anche per l’altro vissuti che generalmente vengono sentiti come sbagliati e che lasciano spazio principalmente solo a sentimenti di inadeguatezza. Da loro abbiamo imparato tanto. Nel primo periodo di apertura una delle attività più preponderanti sono state le attività esterne programmate nel rispetto delle misure di sicurezza per ridare quel bisogno di spensieratezza e libertà nel rispetto delle regole che impone la comunità,( ancora una volta si affrontano le regole da rispettare.. in comunità per il rispetto di sé dell’altro) prerogativa che aiuterà loro nella percorso di vita dopo la Rems».

La salute mentale raccontata non più mettendo al centro la patologia, ma lo strumento terapeutico che viene usato per migliorare la loro condizione. Un modo nuovo, quindi, per avvicinare le persone a questa realtà.

«Le risonanze di Fase Rems ci hanno incoraggiato per metterci in gioco per un secondo piccolo progetto, “Gli estREMS” opposti. È un corto nato in occasione del festival di cinema e psichiatria “Corti in Cortile”, quest’anno dal tema “Oltre la siepe: adesso che siamo liberi, chi è davvero libero?”, presentato alo palazzo della cultura di Catania lo scorso 17 settembre. Attraverso questo progetto abbiamo avuto occasione di poter approfondire le riflessioni sul senso del diverso e portare all’esterno i risultati del lavoro terapeutico in cui si applica la Rems secondo i principi della comunità terapeutica democratica».

È importante provare a uscire dai binomi riduttivi di sano/patologico, buono/cattivo, provando a lanciare un messaggio che parla di integrazione tra parti sane e parti sofferenti che ognuno di noi si porta nel corso della propria esistenza, al di là di chi sta “dentro” e chi sta “fuori”.

Cosa c’è da fare per migliorare la realtà sanitaria legata alla salute mentale?

«Bisogna ancora insistere sulla piena attuazione della legge 180 che viene popolarmente intesa come la legge che ha fatto chiudere i manicomi ed istituito il TSO, continua Salvatore Aprile. Con questa legge è stato introdotto il concetto di costruzione del consenso con il paziente. E non è un dettaglio, non va tralasciato. Contemporaneamente bisogna lavorare sulla giusta interpretazione della legge 81/2014: la legge intende il ricorso alle Rems solo come extrema ratio. Ricordarsi tutto questo è fondamentale per la dignità che merita la salute mentale. Per avviarci verso questa più emancipata realtà sanitaria è necessario potenziare i servizi territoriali, lasciare aperti tutto il giorno i Centri di Salute Mentale, garantire visite domiciliari per i pazienti cronici scoraggiando i ricoveri e quindi l’istituzionalizzazione».

Serve, inoltre, potenziare la prevenzione primaria, e la formazione specifica per gli addetti ai lavori, e la produzione di una cultura aperta a questi ambiti già nei meandri della formazione primaria dei cittadini, quindi già dalle scuole d’infanzia. «Bisogna dialogare con le istituzioni, conclude Dario Prestifilippo, evitando gli attacchi e le prese di posizione.  Questo permetterebbe di andare oltre l’ottica riparatoria di “gestione del caso” ed avviarsi verso sane frontiere di “presa in cura”».

Io non ho paura del pregiudizio perché secondo me i primi a giudicarci siamo noi, dichiara sorridendo Sonia. E Giovanni non ha alcun dubbio: noi ci sentiamo orgogliosi! La gente che vive di pregiudizi si perde tanto dalla vita.

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