Rems di Caltagirone, dove il recupero dei pazienti psichiatrici è possibile

Rems di Caltagirone, dove il recupero dei pazienti psichiatrici è possibile

Katya Maugeri

CALTAGIRONE – Quali sono le condizioni in cui vivono gli ex detenuti psichiatrici in Sicilia dopo l’abolizione degli ospedali psichiatrici giudiziari? L’ultimo Opg a chiudere è stato quello di Barcellona Pozzo di Gotto, ultimo perché il baluardo di resistenza era molto forte. Dagli ospedali psichiatrici giudiziari alle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, cosa è cambiato realmente? Ne abbiamo parlato con Raffaele Barone, direttore del dipartimento salute mentale dell’Asp di Caltagirone.

«È sicuramente migliorata la qualità della vita degli utenti che sono usciti dall’ospedale psichiatrico giudiziario malgrado difficoltà e resistenze – afferma Barone -, dalla psichiatria alla magistratura. La Sicilia ha fatto uno sforzo enorme nell’arco di pochissimo tempo: sono stati dimessi tutti i pazienti ricoverati nella Opg, grazie all’assessore Lucia Borsellino che è stata determinata nel realizzare il progetto. La Sicilia ha smentito ogni incertezza e perplessità, portando avanti e realizzando questo passo. L’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto era considerato inviolabile e invece sono state dimessi più di 120 pazienti, molti dei quali ritenuti dei “casi impossibili”. Un percorso difficile ma virtuoso per la qualità della vita degli utenti».

Una esperienza, quella delle Rems, che si proclama come realtà democratica in cui il principio di fondo è la ricerca della responsabilità delle persone, le quali devono ritrovare in un percorso con un tempo definito, la capacità di rientrare in società. Una evoluzione: il passaggio delle funzioni della sanità penitenziaria al servizio sanitario regionale promuovendo la cura delle persone e della loro salute mentale dentro e fuori i luoghi di reclusione. Ma per realizzare programmi di cura e riabilitazione occorre un potenziamento dei servizi di salute mentale con una dotazione adeguata di personale.

«Devono funzionare i dipartimenti di salute mentale integrati con del personale adeguato – ci spiega Barone -. Queste patologie sono in aumento se si pensa all’uso di stupefacenti, quanto distrugge la cocaina e tutte quelle sostanze che sempre più si stanno diffondendo, tutte queste dipendenze unite a disfunzioni familiari e sociali aumenteranno i casi. Noi lavoriamo con i familiari, con la rete sociale cercando di risanare queste crepe attraverso attività di gruppo, dialogo aperto, laboratori e gruppi multifamiliari».

Gli utenti a questo cambiamento hanno reagito bene. Non prevedevano i vantaggi della Rems, provenivano da un regime diverso, lontano dal sistema “comunitario”. E anche la Sicilia, come altre regioni, ha dovuto lottare e confrontarsi con pregiudizi e resistenze: i cittadini di Caltagirone erano prevenuti, spaventati. Poi, dinanzi a un sistema di trattamento di tipo comunitario, le paure si sono dissipate. E adesso a Caltagirone sono aperte due Rems.

«Resta il problema del carcere- spiega Raffaele Barone – quello è un buco nero. In carcere occorre un personale adeguato, specialistico e formato perché è lì che si concentra una sofferenza enorme, i casi di stalker, i reati legati alla sessualità, molti  di loro hanno alla base una componente psicopatologica e lo Stato dovrebbe avere interesse a curarle queste persone, affinché escano dal carcere con una visione positiva. Restituendoli alla società con un trattamento adeguato, liberi da ogni tormento e forti per non ricommettere il reato, lo Stato deve poter recuperare la parte sana di queste persone.

I pazienti accolti nella Rems di Caltagirone hanno un vissuto devastante, storie di violenze subite, abusi, abbandoni., ma è chiaro: chi sbaglia deve pagare, ma è indispensabile che il detenuto venga rieducato e curato, e per ottenere questo “serve assumere del personale specialistico per dare concretezza a un percorso riabilitativo, una risposta psicoterapeutica e psicosociale. Noi abbiamo un protocollo con il carcere per la prevenzione al suicidio e garantiamo dei trattamenti psichiatrici indispensabili. Sono persone con vari disturbi della personalità e il lavoro  che attuiamo noi è psicoterapeutico proprio per creare un percorso di presa di coscienza dell’utente che ha commesso il reato. La cura inizia quando si prende consapevolezza, questa è la sfida».

Quanta disinformazione e paura restano fuori da queste strutture? Troppa. «Alla base c’è lo stigma», ovvero la discriminazione basata sul pregiudizio nei confronti del malato mentale. «Tutte le persone che abbiamo accolto sono il frutto di esperienze di maltrattamenti – racconta Raffaele Barone – di traumi, e di vite marginali. La gente fondamentalmente ha paura di tutto ciò che non conosce. Esiste e persiste ancora oggi il pregiudizio nei confronti del diverso, poi se è anche un malato mentale, ancor di più. Noi lavoriamo anche con le loro famiglie per dare supporto, sostegno, un aiuto concreto per migliorare la loro condizione emotiva non solo clinica. Una chance gli va data. Senza toni trionfalistici, chiaramente. In salute mentale il primo intervento da fare è la lotta allo stigma ricreando così un ambiente umano dove le persone possano recuperarsi. Le relazioni qui sono improntate alla non violenza, accogliendo la democrazia, educando al rispetto reciproco. È bene specificare che la forza e la violenza sono differenti: la violenza è quando si abusa della forza».

Gran parte di tutte le malattie mentali inizia all’età di 14 anni, e nella maggior parte dei casi non viene rilevata, o viene sottovalutata, e quindi non viene trattata.  la malattia mentale più diffusa tra gli adolescenti è la depressione. E il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani di 15-29 anni. Senza considerare l’uso di alcool e sostanze stupefacenti, un problema cosi importante e considerato una emergenza nazionale, ma «ciò che realmente preoccupa è che non ci sono investimenti pari al disagio, alla  malattia che viene portata. Non c’è una adeguata risposta – conclude Barone – non ci sono investimenti sulla sanità mentale, sulle carceri. Capisco benissimo che la gente lì fuori esige la punizione, ma servono investimenti per il recupero».

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