Niente di particolare

Giuseppe Condorelli

CATANIA – Ci chiediamo quale si il senso della mera riproposizione teatrale, in questo caso i legni  del Verga di Catania,  di un soggetto – “Una giornata particolare” di Ettore Scola – pensato e scritto per il cinema e che proprio l’anno scorso festeggiava i quarant’anni dalla sua uscita: uno potrebbe certamente essere l’attenzione sulla manipolazione dell’opinione pubblica e del consenso oggi come settanta anni fa. Quella domanda si fa addirittura disarmante quando ti accorgi che la protagonista Antonietta – una Valeria Solarino su cui, generaliter, non si discute – è però piegata dalla regia di Nora Venturini a parlare un linguaggio, come dire, camilleriano: cioè inventato. Un miscuglio di siciliano, napoletano e romanesco che la rende più isolata sulla scena, sulla quale pare obbligata a muoversi quasi in uno spettacolo “altro”.

È certamente vero che il capolavoro di Scola possiede una impalcatura intrinsecamente “teatrabile” – il film è praticamente girato in un interno, “l’alveare Federici” – ma nella pur minuziosa aderenza filologica alla pellicola, il lavoro sul palco perde il suo carisma di dramma, adagiandosi più su una commedia semi-dolente e l’impronta brechtiana che in filigrana attraversa il film qui sembra sbiadirsi.

Il dramma si esplicita soprattutto nel linguaggio (ribadiamo: non quello che parla la Solarino); da un lato la bieca e tronfia retorica dell’impero fascista che si autoesalta per l’occasione della visita  di Hitler a Roma nel maggio del 1938; dall’altro quello dei due protagonisti.

La meschina quotidianità dell’estrazione modestissima di Antonietta che “non si è ancora civilizzata”, una criata, stremata dalle gravidanze, che ottempera al ruolo “fascista” di madre feconda e di donna ubbidiente e sottomessa al maschio in orbace; dall’altro quello del discreto e tormentato Gabriele (Giulio Scarpati gli dona una certa vivacità), ex conduttore radiofonico, “frocio” e sovversivo, dalle “tendenze depravate” e per questo destinato all’epurazione. Nonostante la scena intelligentemente disposta su due piani – anche due modi di essere, di pensare e di agire – i tempi della messinscena appaiono troppo dilatati, a volte vuoti: il lunghissimo piano sequenza dell’incipit del film, per esempio, sul palco finisce col diventare imbarazzante. Due storie quella che la propaganda ufficiale tenta di allagare col suo pomposo lessico da Impero punteggiato anche dalla proiezione dei cinegiornali Luce e quella minuta, ben più viva e presente di Antonietta e Gabriele. Due mondi che si autoescludono per definizione: la casalinga e l’intellettuale, non fosse per brillare in un incontro tanto imprevisto quanto sconvolgente ma solo nel volgere fulmineo di quella giornata. Quei due mondi emarginati finiscono infatti per accettarsi per quello che sono un attimo prima di spegnersi alla fine della “giornata particolare”: la prima nella domestica accettazione della sua subordinazione all’uomo di casa e alle direttive del Partito, l’altro avviandosi mestamente al confino.

Forse il ricordo perfetto di quegli attimi condivisi rimane tutto nei minuti granelli di sabbia di una lampada a contrappeso, ritta su un tavolo spoglio.

Alla fine, comunque, applausi entusiastici. Buon per loro.

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