Libero Grassi, 29 anni fa Cosa nostra uccideva l'imprenditore che si ribellò al pizzo

Libero Grassi, 29 anni fa Cosa nostra uccideva l'imprenditore che si ribellò al pizzo

di Katya Maugeri

Aveva rifiutato di pagare il pizzo e denunciato i propri estorsori. Sostenuto sempre dalla moglie Pina Maisano, scelse di non cedere mai ai ricatti mafiosi: “Non abbasserò la testa. Cedere alla mafia sarebbe come perdere l’anima”. Sono trascorsi ventisette anni da quando Cosa nostra decise di far tacere Libero Grassi. Una condanna per il suo “no”, costante e determinato, alle richieste di pizzo. L’industriale palermitano diventa così un simbolo della lotta contro la criminalità in una Palermo omertosa e impaurita dalla realtà mafiosa.

Questa mattina i figli Alice e Davide Grassi, hanno spruzzato nuova vernice rossa e affisso il manifesto nel luogo dove è stato ucciso il padre 29 anni fa. Alla commemorazione erano presenti anche il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, l’assessore regionale Toto Cordaro in rappresentanza del governatore Nello Musumeci, il presidente di Confindustria Palermo, Alessandro Albanese, il prefetto Giuseppe Forlani, i vertici di guardia di finanza, carabinieri e polizia.

È stato firmato, inoltre, il protocollo tra il comune di Palermo e l’associazione “Parco Libero”, dedicato all’imprenditore. “È un regalo per mio padre e mia madre, spero finalmente di potere realizzarlo” ha detto Alice, figlia dell’imprenditore che ha sottoscritto l’accordo con il sindaco, Leoluca Orlando, in via Alfieri, dove Libero Grassi è stato ucciso e dove è stato commemorato stamattina. Un “parco Libero” pensato e voluto dalla famiglia e da un gruppo di professionisti e cittadini, in una area degnata di Palermo, nella borgata di Acqua dei corsari.

La lezione di Libero Grassi

Il 10 gennaio del 1991 scrive sul Giornale di Sicilia una lettera aperta intitolata “Cari estorsori non vi pago” con la quale rendeva pubblico il suo rifiuto di pagare il pizzo.

«Caro estortore, volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere. Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui».

L’11 aprile 1991 Libero Grassi fu ospite di Samarcanda, la trasmissione che conduceva allora Michele Santoro su Rai Tre, dove spiegò: “Io non sono pazzo, non mi piace pagare, è una rinunzia alla mia di dignità di imprenditore”. 

Pochi mesi dopo quell’intervista, la mattina del 29 agosto 1991, mentre andava a lavorare a piedi alle sette e mezza di mattina, Libero Grassi fu ucciso a colpi di pistola a Palermo. Negli anni successivi vennero arrestati e condannati per l’omicidio di Grassi i mafiosi Salvino Madonia e Marco Favaloro. Ma cosa è cambiato durante questi ventotto anni in Sicilia?

Combattere la mafia, ogni giorno, con strumenti concreti, in prima persona. Si può. C’è chi è impegnato sul fronte della lotta al racket delle estorsioni, con l’obiettivo di sconfiggere il pizzo. La lotta al racket delle estorsioni diventa costruttiva quando la cittadinanza prende consapevolezza del fatto che le estorsioni non le subisce solo il singolo commerciante, ma l’intera economia di un paese.

Nei rapporti recenti di Sos Impresa si evince una percentuale di commercianti sotto estorsione pari a circa l’80%, il tasso di denunce è ancora troppo basso. Perché a prevalere è sempre la paura, dettata dalla disinformazione e da una infondata sfiducia nelle istituzioni. Il pizzo continua ad avere varie forme: può consistere nel pagamento di una somma di denaro oppure nell’esecuzione di un’attività imposta, ovvero nella assunzione di soggetti indicati dai mafiosi oltre che nel “fare affari” con soggetti sempre imposti dai mafiosi.

Il pizzo resta pur sempre una forma di controllo del territorio oltre che una forma di guadagno minima e certe volte, inoltre, le estorsioni sono finalizzate ad appropriarsi della società – se di “interesse mafioso”, altre volte poi, dall’estorsione si passa all’usura, e viceversa.

C’è molto da fare per combattere questa realtà marcia. La stessa che uccise Libero Grassi perché contrastata dai suoi no: decisi, incorruttibili. Oggi, ancora, non siamo in grado di dire no al posteggiatore abusivo, al classico cavallo di ritorno quando ci rubano il motorino. I commercianti spesso negano di essere sotto estorsione anche quando la realtà è evidente, per timore, per vergogna. Abbiamo spesso una visione distorta della mafia: come se fosse uno strumento prezioso e in grado di garantire posti di lavoro, mentre il suo potere e la sua forza economica sono fondate solo sull’illegalità e sull’omertà delle persone.

Dopo ventinove anni dalla morte di Grassi dobbiamo imparare a non avere paura, puntando sull’informazione. Pronti a fare il nostro dovere per noi stessi e per la società in cui viviamo. Per una una comunità che non deve delegare, ma assumersi le proprie responsabilità scegliendo ogni giorno da che parte stare.

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