L'implosione di Confindustria e il "caso Montante"


 
 

CATANIA – Un vecchio amico, molto esperto del funzionamento delle associazioni di imprenditori a cavallo dei due secoli negli ultimi cinque decenni, mi ha spiegato che, secondo quanto gli avevano insegnato nei primi anni 70 del secolo scorso, le associazioni crescono e progrediscono quando le cose non vanno bene per le imprese.
Il suo maestro arrivava cinicamente al punto di suggerire, quando le acque erano troppo calme, di provocare controlli e ispezioni al fine di far avvertire il bisogno agli imprenditori di trovare un rifugio sicuro. Perché una simile strategia funzionasse era però indispensabile una precondizione: l’associazione doveva essere forte, autorevole, competente, fedele alla propria mission e guidata da presidenti “riconoscibili” e da direttori con la spina dorsale. La spiegazione, un po’ “forte” , nasce dalla mia domanda sul perché Confindustria sia implosa negli ultimi 5 anni sia a livello nazionale che locale.
E allora ho provato a verificare la  fondatezza di un teorema che mi è parso un po’ azzardato.
La crisi, tuttora perdurante, è iniziata nel 2008 è già nel 2010 picchiava duro sul mondo delle imprese e del lavoro. Nel 2012 il tessuto imprenditoriale era un campo di battaglia, eppure la candidatura di Giorgio Squinzi a presidente di Confindustria fa serrare i ranghi, aumentare il numero delle imprese aderenti e la Confederazione si impegna, con successo su fronti “caldi” e molto sentiti dalle imprese: la pressione fiscale, l’accesso al credito e la semplificazione amministrativa. Squinzi, anche se non attrezzato nell’arte della retorica, è un leader naturale, perché è  “credibile”, la sua storia parla per lui, i suoi prodotti sono nei muri delle case di tutti gli italiani, e non solo, e, sopratutto non c’è bisogno di spiegare chi sia e cosa faccia nella vita.
Viene eletto alla fine di maggio del 2012, plebiscitariamente, e non perché in Confindustria vige la regola del candidato unico, e la sua prima uscita “sul territorio” avviene a Catania, alla assemblea del 30 maggio 2012, dopo solo una settima dalla sua elezione. È un uomo pragmatico, abituato a misurare i risultati più che le chiacchiere e le passerelle ,e a Catania sa di trovare quello che cerca. Il presidente era il principe Bonaccorsi (nella foto)  uomo schivo ed altrettanto concreto, e Catania, nonostante si fosse al quarto anno di crisi economica, continuava crescere al punto di essere, secondo la certifica confederale pubblicata sul sito di Confindustria, la 18^ associazione a livello nazionale; la 2^ del Mezzogiorno e la 1^ in Sicilia, per poi arrivare ad essere al 31/12/2013 ,la 15^ a livello nazionale, la 1^ nel Mezzogiorno e la 1^ in Sicilia, con 1019 imprese ed unità locali associate e 25524 dipendenti. Di pari passo cresceva la rappresentanza nazionale e la credibilità dell’organizzazione. C’era la crisi, ma c’erano le precondizioni di forza, autorevolezza, credibilità e fedeltà alla mission associativa, e c’erano gli uomini riconoscibili e fattivi.
Poi tutto è’ cambiato e, pur essendosi un po’ allentata la morsa della crisi, le aziende hanno cominciato a dimettersi, tanto le grandi quanto le piccole, molte polemicamente.A parte le big come Fiat, Luxottica, il Gruppo Marcegaglia e l’imminente fuoriuscita delle partecipate statali, anche a livello locale non sono mancati gli addii importanti; la SIFI, la SAC, la Torrisi caffè, i gruppi bancari e molte, molte altre.
Cos’è accaduto?
La mission non s’è capito più quale fosse; I nuovi leader erano in tutt’altre faccende affaccendati;
I rappresentanti delle imprese passavano più tempo in convegni,che nelle proprie aziende, e le passerelle con i politici, i prefetti e le alte cariche hanno allontanato sempre più la “base”, fatta da gente concreta che la mattina alle 6 è già in fabbrica, da i vertici che sono diventati sempre più auto referenziali, fino al punto di deviare, pericolosamente, facendo perdere la, seppur scarsa, residua credibilità. La mancata presa di posizione di Boccia sul caso Montante, infine, credo abbia dato il colpo di grazia.
Chi succederà tanto a Roma,quanto a Catania quanto a Palermo dovrà, prima di tutto, tagliare ogni legame con le gestioni degli ultimi anni, poi farsi contornare da gente seria, credibile e competente, e poi “sperare in Dio”, perché comunque sarà un sopravvissuto a “ground zero”.

D.S.

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