Carcere minorile e rieducazione: "Ragazzi, concedetevi una possibilità. Vogliatevi bene"

Carcere minorile e rieducazione: "Ragazzi, concedetevi una possibilità. Vogliatevi bene"

di Katya Maugeri

ACIREALE – «Io vivo in questo ruolo pieno di contraddizioni: punire e rieducare, cercando di adempiere in maniera equilibrata a un compito complesso», non è facile descrivere con quanta passione Carmela Leo, direttrice dell’Istituto penale per minorenni di Acireale, racconta del suo lavoro. Si parla tanto dei reati, delle condizioni dei detenuti, dell’inefficienza di alcuni istituti, ma chi è in realtà il direttore di un carcere minorile? Sì, è un esecutore e garante dell’applicazione di leggi previste nei confronti di minori e giovani dai 14 ai 25 anni, imputati o condannati per reati penali da una parte, e garante dell’applicazione di misure limitative della libertà personale attraverso la detenzione, dall’altra. Ma esiste una linea di confine chiamata rieducazione, speranza dalla quale ripartire, garantendo a questi giovani un percorso riabilitativo attraverso un progetto educativo individualizzato. Ma in che modo?

«Cercando di attuare un trattamento in sicurezza e di tener conto delle esigenze dell’utenza in una fase delicata della loro vita affinché possano ripartire dopo aver fatto un percorso di rielaborazione critica dei loro agiti negativi attraverso strumenti concreti: l’istruzione e la formazione, per esempio. La mia esperienza mi porta a sostenere che è possibile fare un buon lavoro educativo all’interno dell’istituto tenendo conto, inevitabilmente, delle risorse territoriali e del contesto dove successivamente la persona sarà reinserita».

Il contesto detentivo è pur sempre un ambiente punitivo: allontanare il soggetto dai propri affetti, togliere la libertà di movimento sono gli aspetti punitivi che connotano in maniera chiara il sistema carcerario. Il carcere però è un contenitore, al suo interno il lavoro può essere altamente educativo soprattutto se il soggetto è accolto nei suoi bisogni, sostenuto e aiutato a riprendere percorsi interrotti o intraprenderne altri più idonei. Se viene stimolato a rivedere criticamente le proprie azioni, a capire come può ricucire gli strappi che comportamenti devianti hanno prodotto ad alcune persone offese e alla società. Il tempo della detenzione può essere molto utile per ripartire, riprendere percorsi interrotti, scoprire attitudini, talenti, e la capacità degli operatori che sostengono il ragazzo sta nel saper intercettare i bisogni a volte inespressi e trasformarli in risorse.

«Spesso i ragazzi in un istituto penale per minorenni fanno esperienze straordinarie che nei territori di provenienza sono inimmaginabili: hanno occasioni di incontro e confronto con scolaresche, poeti, associazioni, sperimentano attività, esprimono in vari modi stati d’animo». Durante quei momenti all’esterno del carcere: volontariato alla mensa dei poveri, cura della vigna del Parco dell’Etna, sono ben accolti e si sentono utili, sono e si riconoscono come delle risorse di una comunità, sperimentando così una realtà diversa da quella alla quale la vita li ha abituati. Un’alternativa valida alla delinquenza. Quando  ritornano nei loro ambienti sono accolti dalle stesse persone che come loro, vivono alla giornata, senza grandi mezzi economici

Ma qual è la situazione del carcere minorile oggi? Sono istituti che accolgono gli sbagli e i sogni infranti di chi ha scelto una via sbagliata, di chi ha lasciato che la violenza prevalesse sulla ragione e la rabbia sull’amore. «Sono piccoli contesti, sempre più residuali in quanto si cerca di lavorare sul territorio; centro e nord accolgono molti stranieri. In Sicilia prevalentemente persiste una utenza locale. Gli Ipm favoriscono la partecipazione della società civile in forme diverse. Per i ragazzi detenuti  sono previsti molteplici possibilità di studio, lavoro e volontariato all’esterno», molti di loro tendono a non avere una progettualità futura, pochi credono di avere concrete opportunità di inserimento lavorativo, soprattutto perché l’esperienza detentiva pregressa favorisce molti  pregiudizi. E ritornando in certi contesti è difficile non commettere altri reati, a volte è difficile pensare di poter desiderare altro. Una società civile non può escludere l’idea che oltre quelle sbarre possa esistere una seconda possibilità.

«Un ragazzo può intraprende un percorso di cambiamento, credo fortemente in questo, e avviene quando ha strumenti idonei: capacità professionali, qualifiche, fiducia per rivestire ruoli diversi nella società che nuovamente lo accoglie». Tutto questo va sostenuto all’esterno attraverso risorse concrete e con l’aiuto di operatori come le associazioni, gli educatori di comunità che oltre a partecipare alla fase di progettazione dei percorsi educativi all’interno dell’Ipm ne favoriscono la loro realizzazione sul territorio.

«Chi non conosce la realtà del carcere ha un proprio immaginario», spesso le persone che si approcciano per la prima volta si stupiscono di quanto sia ricca di stimoli e risorse una struttura carceraria minorile, del lavoro che si fa affinché ogni ragazzo possa fare un percorso di crescita adeguato, «sino a poco tempo fa  nella realtà acese molti sconoscevano l’esistenza di una struttura penale, forse per via della denominazione. E invece con orgoglio credo al cambiamento e sono le storie a confermarlo. Mi vengono in mente Giancarlo, Emanuele, Matteo, Salvatore.

Giancarlo mi sembra quello che più di tutti ha fortemente voluto il cambiamento: la sua è una storia di tossicodipendenza da ragazzino, dopo il carcere minorile dove ha ripreso il corso di studi in un istituto superiore, ha capito che non vestiva bene i panni del delinquente e da qui, la sua partenza per Londra e successivamente il suo trasferimento a Torino». Oggi Giancarlo è responsabile di un settore dell’edilizia  di una multinazionale, ha moglie e due figli. «Di tanto in tanto ci sentiamo, ci scambiamo qualche foto, mi scrive che oggi è una persona “rispettabile”».

La detenzione è stata un’esperienza forte per lui e ammette che forse tornarci da ex detenuto potrebbe fargli bene e la sua testimonianza essere illuminante per i ragazzi che ancora non hanno deciso di cambiare, a coloro che non hanno ancora maturato l’idea del cambiamento.

«Datevi una possibilità – dice con tono commosso Carmela Leo – vogliatevi bene. Siete solo schiavi di un sistema – che non è lo Stato – ma di una appartenenza, una subcultura che vi utilizza, i vostri reati vanno ad alimentare e incrementare chi c’è a capo dell’organizzazione. I ragazzi che sono ancorati alla loro vita là fuori, non hanno ancora scoperto le loro potenzialità, non hanno trovato la strada. E quando mi sento avvilita – conclude – mi dico che i ragazzi dell’Ipm avranno sempre bisogno di adulti di riferimento, di persone che possano credere in loro, di volontari che dedicano il loro tempo e li fanno sentire importanti».

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