Salute mentale ed emergenza Covid-19

Salute mentale ed emergenza Covid-19

di Katya Maugeri

“Non c’è salute, senza salute mentale”, ha affermato l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nel nostro Paese una persona su quattro, ogni anno, ha esperienza di un problema di salute mentale. 

L’equilibrio emotivo delle persone con disagio mentale non dipende solo dalla gravità della malattia, ma dal grado di empatia e di accettazione della società e degli stessi familiari. In un anno i servizi specialistici del Servizio sanitario nazionale assistono più di 850mila persone, conferma il Ministero della Salute.

I disturbi mentali sono in aumento. E restano stigmatizzati e non seguiti come dovrebbero: mancano i medici, gli infermieri, i tecnici di riabilitazione psichiatrica e la spesa è ridotta al minimo. Si tratta di una battaglia prima di tutto culturale.

Ma che impatto hanno avuto le misure di distanziamento sociale, l’isolamento forzato, le numerose norme utili per la prevenzione del contagio, sulle persone con disagio psichico? 

Chi soffre di un disagio psichico è più fragile e rischia in questo clima di emergenza di trovarsi in condizioni di maggiore fragilità. 

«Il Covid ha improvvisamente riacceso i riflettori sull’area della salute mentale. Si pongono – quindi – dei problemi importanti sulla riorganizzazione per ottimizzare i servizi e fronteggiare una epidemia della paura, dei disastri economici che inevitabilmente porterà a confrontarsi con altre emergenze. Spiega il direttore del dipartimento di salute mentale dell’Asp di Catania, Carmelo FlorioNei prossimi mesi, a livello mondiale, ci si aspetta un’ondata di disagio psichico, che necessita di un grande sforzo organizzativo ed economico.

La salute mentale in Sicilia è una realtà in grande fermento che esprime numerosi aspetti legati al cambiamento, al desiderio di innovarsi. Spesso l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica è invece rivolta solo alle urgenze, ovvero, quando c’è da parlare di autori di reati, facendo torto chiaramente a quella parte di positività costruttiva, la parte utile del lavoro in psichiatria. Serve, quindi, rilanciare una rete di servizi puntando sull’inclusione sociale e sulla  prevenzione e sulla semiresidenzialità».

Ansia, depressione, disturbi del sonno, disturbi panici, disturbi post traumatici da stress. Sono alcuni degli effetti del lungo lockdown e che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità metterà a dura prova anche il benessere psicologico e la salute mentale se i governi non affrontano con urgenza il problema. In che modo? potenziando i servizi di prevenzione e assistenza. 

La depressione è il disturbo mentale più diffuso: si stima che in Italia superino i 2,8 milioni (5,4% delle persone di 15 anni e più) coloro che ne hanno sofferto nel corso del 2015 e siano 1,3 milioni (2,5%) coloro che hanno presentato i sintomi della depressione maggiore nelle due settimane precedenti l’intervista secondo gli ultimi dati Istat. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) stima che i disturbi depressivi colpiscono oltre 300 milioni di persone nel mondo. 

L’evoluzione e la percezione della salute mentale

«Sicuramente nell’ultimo periodo c’è una attenzione diversa. Le numerose iniziative svolte danno il senso a dei cambiamenti in atto. Con il Progetto obiettivo salute mentale e col Piano strategico Regionale si è puntato a pensare al “progetto di cura” e non alla cura in sé. Non solo al trattamento tradizionale, ma  rilanciare un rapporto con il tessuto sociale».

Per un Dipartimento di salute mentale al passo coi tempi, occorre comunicare meglio, ed lavorare  sempre sullo stigma, il pregiudizio che associa alla salute mentale solo i matti.

«C’è tanto lavoro da fare: intercettare i nuovi bisogni che vengono dalla popolazione e presentare i servizi in modo differente. La psichiatria non è solo un problema degli psichiatri o degli “addetti ai lavori”. Noi come operatori siamo pronti a raccogliere la sfida ma servirebbe che i riflettori fossero accesi non solo quando c’è un “matto” da mettere in prima pagina, ma quando e soprattutto ci sono azioni virtuose.

Durante la fase 1 si sono ridotti drasticamente i casi di TSO e sa perché? Perché si sono intensificate tutte quelle attività di monitoraggio delle situazioni più critiche e perché anche molti utenti e familiari hanno “tenuto”. Serve, quindi, spostare l’asse dei servizi dal dentro al fuori alla domiciliarità, al territorio. Solitamente non c’è il tempo di farlo. 

Nel frattempo la domanda è aumentata e gli operatori sono ridotti. Il Covid ha creato, inoltre, molto malessere all’interno degli stessi operatori, sofferenza legata al momento attuale: bisognerebbe prendersi cura dei curanti ovvero un’attenzione rivolta anche a loro. Ci siamo ritrovati dinanzi a una situazione di sconforto e angoscia.

Tra colleghi abbiamo aperto un confronto e ragionando abbiamo immaginato delle soluzioni per sopperire a questa emergenza, che nella salute mentale, ha amplificato il disagio degli utenti. Così, abbiamo aumentato i contatti telefonici che se realizzati in un certo modo diventano costruttivi. Abbiamo informato gli utenti sulle norme da seguire e sono sempre più convinto che l’informazione, la corretta comunicazione è imprescindibile in queste difficili realtà».

Nella frenesia delle nostre giornate sentiamo l’esigenza di trovare soluzioni immediate, senza la necessità di fermarsi, pensare. E invece le storie parlano chiaro: sono racconti di disagio, di fragilità e di emarginazione. Sono storie di sofferenza. Dovremmo riflettere maggiormente sui contenuti.

«Credo che questo sia il momento in cui c’è bisogno dei nostri servizi, non per patologizzare le persone ma per comprendere, farsi carico di disagi, ovvero prendersi cura. La salute mentale diventa un filtro di osservazione con la realtà, sono necessari servizi aperti: dialoganti e che sappiano ascoltare e leggere dentro.

Il Covid deve diventare una opportunità di cambiamento – conclude Florio – e non un muro del pianto, di autocommiserazione. Dobbiamo sforzarci di rappresentare le necessità e i bisogni assieme agli utenti, operatori, famiglia. Possiamo essere una squadra che può offrire una voce più forte per farsi finalmente ascoltare».

Lo stigma è molto radicato, ma grazie alla comunicazione si potrà intraprendere un percorso di evoluzione. Dare voce a chi vive in prima persona il problema, portare le loro esperienze, confrontarsi: c’è chi riesce a parlare di sé in modo dignitoso, costruttivo spiegando realmente una realtà così complicata. 

Servono delle azioni di pianificazione per far emergere il mondo sommerso della salute mentale in termini visibili e di ascolto, a  dimensione umana.

 

(immagine copertina credit: UNHCR)

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