Le Città di Carta. Rivoluzionare i nostri comportamenti urbani per mitigare una prossima crisi

Le Città di Carta. Rivoluzionare i nostri comportamenti urbani per mitigare una prossima crisi

di Saro Faraci

Come sarà il futuro delle nostre città? E come sarà influenzato dalla pandemia in atto? Che significa “città aumentata”? E come si preparano al futuro le grandi città di Palermo e di Catania in Sicilia? E che dire della rigenerazione urbana di Favara? Di questi e altri temi abbiamo parlato lungamente con Maurizio Carta, urbanista, architetto e progettista. Professore di Urbanistica all’Università degli Studi di Palermo, è uno degli studiosi di progettazione più apprezzati e conosciuti in Italia e all’estero, autore di numerose pubblicazioni divulgative e scientifiche. Oggi, la prima puntata della lunga intervista. Le prossime saranno pubblicate martedì, giovedì e sabato di questa prima settimana di novembre.

Prof. Carta, in che modo vivono le grandi città italiane questo difficile momento di Covid-19 con la seconda ondata della pandemia? In modo ibrido tra l’emergenza e la normalità, aspettando il ritorno di quest’ultima? O stanno sviluppando resilienza in vista di nuove future sfide?

«Parafrasando Mark Twain, vorrei dire “spiacenti di deludervi, ma la notizia della morte delle città è grossolanamente esagerata”. Infatti, in questo tempo confuso e colmo di paura, si moltiplicano le celebrazioni della fine della vita urbana nelle grandi città, con la conseguente proposta di “borghi-rifugio” in cui trascorrere una serena quarantena. Non vi è dubbio che la pandemia di SARS-CoV-2 abbia rivelato la nostra fragilità illusoriamente protetta da città che crescevano con arroganza, indifferenti, quando non conflittuali, con le dinamiche ecosistemiche. Da urbanista, docente e progettista, sono convinto che serva, invece di celebrare il funerale delle città, una riflessione competente e di sistema per imparare dalla crisi, rivoluzionando i nostri comportamenti urbani e lo spazio delle nostre città, per evitare – o mitigare – la prossima crisi.

Dunque, la sua visione di futuro qual è?

«La mia visione di futuro – ancora urbano, diversamente urbano – è orientata a generare valore locale, invece che essere basata su un’economia estrattiva che produca dipendenza da strategie esterne. Serve la lucida radicalità di una nuova economia guidata da un’agenda sociale che generi una dimensione urbana capace di combinare l’impresa con la cittadinanza, che agevoli l’interazione tra la formazione e il lavoro, tra la residenza e lo spazio pubblico, tra servizi e produzione, all’interno di una città che recuperi bellezza, salute, coesione, solidarietà ed equità. Insomma, serve una rinnovata idea di città – non necessariamente nuova, ma recuperata dalla migliore matrice culturale delle città europee e italiane – che sia abilitante di nuovi comportamenti»

Una domanda non tecnica ad un accademico che ha una grande sensibilità sociale. Cosa si sentirebbe di dire alla gente in questo momento di grande incertezza per via della pandemia?

«Innanzitutto sento come tutti la sofferenza umana di questo momento, e non c’è tecnica che possa alleviarla o che possa ergersi a pulpito. A me stesso – e chi voglia ascoltarmi – dico di essere visionari e pragmatici, di avere sguardo lungo e agire tempestivamente, di essere divergenti, ma anche cooperanti. Di essere antifragili per imparare dalla crisi e non lasciarci sopraffare. Soprattutto, di pensare con una mente ben fatta, che lasci la rigidezza del Novecento per adottare la fluidità del XXI secolo. Scriveva Hannah Arendt che “finché gli uomini possono agire sono in grado di realizzare l’improbabile e l’imprevedibile”».

prima puntata – continua

photo credits: Francesco Ferla

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