Un’infanzia negata: innocenti dietro le sbarre

Un’infanzia negata: innocenti dietro le sbarre

La rubrica di (C)Asa Onlus

Rossella Fallico
(Staff Asa Onlus)

Qualche mese fa, nella sezione nido del carcere romano di Rebibbia, una mamma ha gettato i suoi due figli dalle scale causandone la morte del neonato di appena quattro mesi.  Non un caso sporadico: notizia di qualche anno fa, a Messina, all’interno del carcere Gazzi, il figlio di una detenuta, ha ingerito del veleno per topi. Aveva un anno e fortunatamente è riuscito a salvarsi grazie all’intervento tempestivo dei medici. Queste vicende scuotono gli animi di tutti noi e focalizzano l’attenzione sul problema delle detenute madri e sull’inadeguatezza di molte strutture di reclusione italiane destinate ad accogliere donne con figli in tenera età. Secondo gli ultimi dati riportati dal Ministero della Giustizia (Fonte: Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – Ufficio del Capo del Dipartimento – Sezione Statistica) al 30 aprile 2019 sono 51 le madri in stato di reclusione con 55 minori al seguito.

Con llegge n. 62 del 21 aprile 2011, dopo un progetto pilota a Milano, sono stati realizzati in Italia degli Istituti a custodia attenuata per detenute madri (Icam), che “per quanto possano essere strutture create per ridurre i traumi dei più piccoli – commenta il presidente Asa Onlus, dott.ssa Maria Virgillito –  non possono e, soprattutto, non devono essere l’unica e sola risposta a quella che può essere oramai definita non più una vera emergenza, ma purtroppo un fenomeno che deve attirare l’attenzione di chi di competenza”.

“I bambini hanno il diritto di vivere in un ambiente sano, a giocare in giardino, ovvero in un luogo consono alla propria crescita sia fisica, sia psicologica – continua il presidente Asa Onlus –  pertanto sostengo fermamente che la soluzione sia quella delle Casa famiglia protette. Collocate in località dove è possibile l’accesso ai servizi territoriali, socio-sanitari ed ospedalieri, a sostegno sia del minore sia dei genitori, rappresentano una risposta possibile, plausibile e necessaria. Ma non solo. Si potrebbe anche ipotizzare di affidare, temporaneamente, la madre e il bambino a un tutore/i, in un ambiente sano, quotidiano e sereno”.

La Casa famiglia protetta, istituita con la legge del 2011, con lo scopo di tutelare il bambino e preservare il legame con la madre, è una misura alternativa al carcere la cui gestione, a differenza degli Icam, non dipende dal dipartimento di Amministrazione penitenziaria, bensì da Regione e Comuni. Qui la madre detenuta, se non c’è rischio di reiterazione del reato, può scontare parte della pena in un luogo che, a differenza del carcere e degli Icam, non presenta dinamiche di ordinamento penitenziario.  Niente sbarre, niente cancelli, la madre può accompagnare il proprio figlio a scuola, come è giusto che sia. Si tratta quindi di strutture inserite nel tessuto urbano dove i bambini possono vivere la propria quotidianità nel modo più normale possibile, grazie anche alla presenza di spazi e luoghi per giocare, come delle vere e proprie abitazioni. Atti ignobili come questi, devono far focalizzare maggiormente l’attenzione sul minore e sull’assoluta necessità di incentivare degli adeguati supporti psicologici, dei programmi di sostegno sia per i bambini, sia per le madri, così da poter evitare che si verifichino episodi come quelli che leggiamo nelle pagine dei quotidiani oggi. Similmente occorrerebbe creare delle Case famiglia protette, visto che sia in Sicilia che nel resto d’Italia sono ad oggi delle strutture fantasma.

“Purtroppo – conclude il presidente Asa Onlus – molto spesso, ci si dimentica che se una madre ha il diritto di crescere il proprio figlio, è anche vero che un figlio ha il diritto di vivere la propria infanzia senza alcuna negazione di libertà”.

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