Imprenditori agricoli e commercianti tra i grandi elettori dei Comuni catanesi al voto


|Saro Faraci|
 

Si voterà domenica in venti comuni della provincia di Catania: Aci Bonaccorsi, Aci Catena, Calatabiano, Castiglione di Sicilia, Fiumefreddo di Sicilia, Licodia Eubea, Linguaglossa, Mazzarrone, Militello Val di Catania, Mirabella Imbaccari, Misterbianco, Nicolosi, Palagonia, Paternò, Raddusa, San Michele di Ganzaria, Santa Maria di Licodia, Sant’Agata li Battiati, Scordia e Vizzini. I più grossi per numero di abitanti sono nell’ordine Paternò (47.870 abitanti), Misterbianco (47.356), Aci Catena (28.749) e Palagonia (16.540).

Presi tutti insieme, i centri in cui si voterà mantengono una fisionomia agricola e commerciale. In tutto sono 17.474 le imprese, censite alla fine del 2016 in base alle ultime rilevazioni camerali e danno occupazione diretta ed indiretta a quasi 46 mila persone. I comparti dell’agricoltura e del commercio (senza includere il segmento del commercio e delle riparazioni degli autoveicoli che da solo vale quasi il 4%) rappresentano il 56,45% del totale delle imprese attive. A seguire il settore delle costruzioni che vale l’11,72% e quello delle attività di ristorazione pari al 4,48%. Praticamente assente il comparto della manifattura, dove l’unica industria più importante è quella alimentare che conta l’1,95% delle imprese. Polverizzata la presenza delle imprese in tutti gli altri settori.

L’economia dei venti comuni chiamati al voto dunque rimane prevalentemente agricola e commerciale e pertanto risente molto delle caratteristiche e delle dinamiche di questi di due settori. Si tratta di ambiti di attività economica caratterizzati in prevalenza da imprese di piccolissima e piccola dimensione. In agricoltura 1.717 sono le micro-imprese che dichiarano un solo addetto; 755 quelle con un numero di addetti compreso fra 2 e 5;  sono 112 le imprese agricole fino a 9 addetti, ma ce n’è pure un buon numero, cioè 2.458, che sono imprese individuali.  Nel settore del commercio, 497 sono le imprese senza addetti, 3.621 quelle con un solo addetto, 1.170 le imprese con un numero di addetti compreso fra 2 e 5, mentre 154 le imprese commerciali che danno occupazione fino a nove unità lavorativa. Anche i fatturati realizzati sono modesti, nella maggior parte dei casi non superiori a mezzo milione di euro. Le grandi realtà occupazionali sono praticamente assenti. Risulta una sola grande impresa commerciale con fatturato compreso fra venticinque e cinquanta milioni di euro e un numero di dipendenti rientrante nella fascia 25-50 milioni. Due sole grandi imprese in agricoltura danno occupazione a 361 persone e fatturano insieme non più di venticinque milioni di euro.

Una microimprenditorialità diffusa nei due settori portanti, agricoltura e commercio, è segnaletica dello stato di salute dell’economia dei venti centri del catanese in cui si voterà domenica. Sono comparti che non generano ricchezza diffusa, ma rappresentano piuttosto ammortizzatori sociali che danno lavoro sia ai titolari che ai pochi dipendenti delle imprese. In tempi di crisi hanno retto abbastanza bene, nonostante le mille difficoltà quotidiane in cui si imbatte chi fa impresa, ma anche questi settori hanno risentito della condizione economica generale di sofferenza del Paese. Negli ultimi dodici mesi hanno chiuso più aziende di quante ne sono nate: quasi l’1% di tutte le imprese attive in agricoltura, e quasi il 3% di quelle nel commercio: in totale quasi 200 aziende.  Il numero delle imprese cessate è ancora più alto: 187 e 486 rispettivamente in agricoltura e nel commercio. Quasi 500 invece le imprese formalmente in crisi, ovvero ammesse ad una procedura concorsuale (fallimento o concordato) oppure avviate allo scioglimento o alla liquidazione. Dunque, la crisi c’è e si fa sentire.

Qualche dato confortante però non manca. Ben 747 sono le imprese giovanili nei due settori considerati, 1.905 sono le imprese femminili, 274 sono quelle straniere. Sono queste le pagine della Speranza, perché quando giovani, donne e stranieri investono nel fare impresa, qualunque sia il settore di riferimento, vuol dire che c’è ancora una parte attiva della popolazione che alla crisi vuole reagire.

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