Cappuccinari ingovernabili


Salvo Reitano

Entro di buon mattino al solito bar e ci trovo gli assonnati reduci delle notti natalizie. Quelli che hanno fatto mattina consumati da tombole, baccarà e chemin de fer. Strafatti di scacciate, panettoni, pandori, vini e liquori. Gli occhi gonfi di stanchezza si apprestano a fare colazione in piedi.
I due banconisti, con il panciotto scarlatto sulla camicia bianca e i pantaloni rigorosamente neri, come vuole un certo vezzo deciso a cambiare i caffè con improbabili pubs, sarebbero anche celeri nel servire agli astanti tazza e cucchiaino. Ma il servizio gira lento e frenato perché non c’è uno solo degli avventori che accetti di bere la stessa cosa: in parole semplici un caffettino per le spicce, veloce veloce, e via.
Chiusi nei loro abiti eleganti ormai sgualciti dalla sera prima, le camicie sbottonate, le cravatte allentate, le gonne stropicciate, il trucco struccato, i rossetti sbiaditi: uno lo prende allungato, l’altra  decaffeinato, un terzo schiumato, una quarta con la tazza calda e poca schiuma, un quinto appena macchiato, la sesta corretto, un settimo con lo zucchero di canna e l’ultima talmente ristretto che è appena un sorso da fermarsi al palato.
E come se non bastasse ci sono anche quelli del cappuccino che intingeranno la brioche col gesto giuggiolone di chi rimpiange le mattine di festa con la mamma. Il tovagliolo di spugna con le iniziali ricamate allacciato dietro il collo e l’immancabile orsetto di peluche che reclama la sua parte.
Gli amanti del cappuccino, i cappuccinari del primo mattino invocano: tazza caldissima con schiuma che deborda, senza schiuma, appena un accenno di schiuma, molto latte e poco caffè, il contrario, la via di mezzo. Il rito è lento, con la lingua che dopo il primo sorso fa il giro delle labbra nel gesto incontrollato di ripulirle perché mamma questa volta non c’è.
Il bar non è più  un luogo di passaggio veloce, a volo radente. No. È un convegno di opposti che non coincidono, una ridda di voci stonate, un miscuglio di gusti, l’imperativo delle esigenze personali, il capriccio in codice, la frenesia del ritocco obbligato.
Ricordo di aver letto da qualche parte come il grande statista francese Charles De Gaulle lamentava come fosse impossibile governare un popolo che può contare diverse centinaia di formaggi differenti.
Se la buttiamo sul caffè e il cappuccino, allora speranze ce n’è poche anche dalle nostre parti. I candidati alle elezioni del 4 marzo sono avvisati.

 

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