La disfatta di Caporetto in chiave manageriale, quando il cambio dell'allenatore si rivela una scelta vincente

di Saro Faraci

CATANIA – L’abbiamo studiata a scuola tutti. La battaglia di Caporetto, la dodicesima battaglia dell’Isonzo combattuta il 24 ottobre 2017 durante la prima guerra mondiale fra il Regio Esercito Italiano e le forze austro-ungariche e tedesche. Fu una disfatta, la più grave nella storia dell’esercito italiano, tant’è che nell’immaginario collettivo Caporetto è ormai diventato sinonimo di sconfitta disastrosa. Peggio di Corea-Italia ai Mondiali del 2002, quando però quello scontro non bellico, ma sportivo, fu viziato da un disastroso e malevolo arbitraggio di Byron Moreno.

Non tutti i mali però vengono per nuocere. Proprio da Caporetto iniziò la “remuntada” e, affidato il Regio Esercito ad un nuovo condottiero, l’Italia portò a compimento la controversa partecipazione alla prima guerra mondiale, intrapresa dopo un patto con gli alleati a Londra per non rimanere passiva di fronte alla strategia austro-ungarica, portata avanti con senza difficoltà in un mix di difesa ed attacco e finita poi con la vittoria, se di vittoria può parlarsi, per proteggere territori, debito pubblico, onore e senso della Patria.

Caporetto però fu il punto di svolta. Perchè rappresentò un momento di discontinuità nella strategia militare del Regio Esercito. Una presa di consapevolezza collettiva, del popolo e del Governo, che l’approccio andava cambiato, e andavano cambiati gli uomini chiave che, un po’ come gli allenatori di una squadra, avevano responsabilità nel non avere saputo gestire la gara, lo spogliatoio, le relazioni con la stampa e con la dirigenza, i rapporti con la tifoseria, per rimanere in gergo calcistico.

Il punto di svolta fu la sostituzione di Luigi Cadorna con Armando Diaz alla guida del Regio Esercito Italiano. Un capo, una figura autocratica e autoritaria, un cinico, un duro affetto da delirio di onnipotenza il primo; un leader carismatico, un uomo capace di tessere buone relazioni con tutti, molto amato dai soldati il secondo. Insomma, Diaz come antesignano di un moderno manager alla guida di una grande azienda, in cui, mentre si cerca di rimanere sul mercato e fare profitti, si deve dare conto a tutti, motivando le risorse umane interne, usando il giusto linguaggio con i cosiddetti stakeholders, i portatori di interesse. Armando Diaz in effetti fu un grande manager, un capace organizzatore e un abile comunicatore.

Antonio Iannamorelli, consulente, manager, lobbista ed un passato pure di amministratore pubblico, alla figura di Armando Diaz ha dedicato un libro dal titolo “Caporetto Management. Dalla disfatta alla vittoria: lezione di Armando Diaz per i manager moderni”, pubblicato dalla Lupi Editore di Sulmona. Un libro che può essere divorato da chi è appassionato di storia e vuole rileggere con lenti concettuali diverse una serie di accadimenti che, in effetti, andrebbero interpretati anche in chiave comunicativa ed organizzativa. Un libro però che potrebbero leggere anche tanti manager e appassionati di start up e di gestione delle imprese perché la conoscenza della storia serve anche per leggere il presente e l’oggi è affastellato da tante figure di vertice alla guida delle aziende che difettano di capacità manageriali e ancor prima di quelle imprenditoriali.

Il libro di Iannamorelli è stato presentato ieri sera alla libreria Mondadori di Catania, in piazza Roma. Con l’autore, invitato a Catania da Francesco Ingoglia, hanno discusso i contenuti del libro il giornalista Fernando Massimo Adonia, l’amministratore delegato di SAC Nico Torrisi e il sottoscritto. Punti di vista differenti, ma complementari, fra i vari panelist dell’incontro, ma unanime giudizio nel considerare il libro di Iannamorelli stimolante, divertente ed originale, documentato nei fatti ed utile a tutti. In fondo, anche chi non sia appassionato di storia o non è manager di un’azienda, può imparare la lezione che nella vita c’è una bella differenza fra essere capo e leader, fra essere autoritario ed autorevole, fra amore del potere e potere dell’amore. Alla fine della fiera, Armando Diaz ci ha lasciato anche questo come prezioso insegnamento.

2 Comments

  1. Caro Daniele , la tua riesumazione di Caporetto , Cadorna e Diaz anche se ben articolata , non e` riuscita a convincermi se veramente puo` essere accostata alla ” CAPORETTO ” del Catania visto oggi a Viterbo . Oggi , cambiare allenatore risulta tardivo perche` i tempi di rimonta non sussistono piu`. Bisognerebbe cambiare i dirigenti che , escludendo il DC Lo Monaco , non esistono o se esistono se ne stanno ben celati e silenziosi . Vedi Daniele , oltre che essere stato un discreto giornalista ho avuto il pregio di imparare l’arte del dirigente calcistico per poter valutare cosa puo` succedere nella mente dei giocatori dopo avere ascoltato certe conferenze stampa . Ed e` stata l’ultima conferenza stampa , molto volgare e tanto vociata che ha aperto i veli che nascondono la realta` che attenaglia l’attuale C.C.Catania . Quelle parole , che ho voluto risentire attentamente diverse volte , gridate da Lo Monaco con tanta spocchia – FRA QUALCHE MESE C’E`DA SALDARE UN DEBITO DI 290 MILA EURO E ANCORA NON SO` DOVE SBATTERE LA TESTA PER TROVARLI – hanno messo sul tappeto tutta la verita`di questa crisi in seno alla societa`. I giocatori di oggi conoscono alla perfezione quanto fa` 2+2 a differenza di quelli di un tempo che potevi ciullare a tuo piacimento . Ditemi chi e` quel giocatore che , avendo ricevuto lo stipendio sempre in modo irregolare e venuto a conoscenza che le casse rossoazzurre sono piene di fuliggini , rischia le gambe e il suo futuro avvenire calcistico . Mi meraviglio come ancora non sono venute allo scoperto loro singole trattative che hanno cominciato a tenere con altre societa`. PER IL BENE DEL C.C.CATANIA vorrei tanto che queste mie congetture volassero via con il vento del pessimismo .

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